di Valentina Guerriero
“Alla signorina piacerà Napoli – disse a un tratto. – La voce della città è dolce come quella della solitudine. La vettura si allontanò rumorosamente tra le luci rosse e verdi che costellavano la baia come pietre incastonate in una tazza da veleno rinascimentale. La melassa stillante di quel Sud punteggiato di mosche trasudava nella brezza che soffiava sulla trasparenza acquamarina fino a estinguere ogni emozione.”
(Zelda Fitzgerald, Lasciami l’ultimo valzer)
Solitamente non scrivo di libri perché ne ho moltissimi e ne compro ancora, ma di questi pochi li leggo fino alla fine. Mi sono perciò imposta, da qualche tempo, di riscoprire il piacere di finire un libro. Da un po’ di anni li lasciavo sempre a metà. Con questa pratica, ho iniziato l’autunno scorso Norwegian Wood, e ho scoperto che un libro diventa più bello se lo leggi fino alla fine, anche se basta già leggere i primi capitoli per capire se ti piacerà o meno, e anche se è meglio leggere a metà 10 o 20 libri piuttosto che non leggerne nessuno.
Leggere a metà ti dà comunque l’idea di aver letto, che è decisamente meglio di rimanere totalmente ignoranti. In ogni caso, non riuscirò a leggere tutti i libri che voglio leggere in un anno, e a volte, anche se letti per intero, i libri vengono dimenticati lo stesso, specialmente i finali.
L’incompletezza però ti lascia un ricordo, quell’idea di aver voluto continuare a leggere, mentre chiudere un libro dopo essere giunti all’ultima pagina dà la possibilità, se l’inutilità del libro lo consente, di rimuoverlo dalle caselle della memoria utilizzate più di frequente.
Non è questo il caso di Save me the last waltz, l’unico romanzo di Zelda Fitzgerald che ho ordinato su Amazon dopo averlo cercato senza successo in più di una libreria. Non compro spesso libri online, solo le cose che voglio davvero e che non riesco a trovare in giro, “Lasciami l’ultimo valzer” era uno di queste. Obbligo morale per gli acquisti di questo tipo: leggerli davvero. Nessun problema.
Era la fine del 2011 quando su una bancarella mi sono imbattuta in “La morte della farfalla”, di Pietro Citati, un analisi sulla coppia Francis Scott / Zelda Fitzgerald, che avevo visto nello stesso anno, tratteggiata molto superficialmente, nella commedia leggera Midnight in Paris di Woody Allen, che neanche m’era piaciuta molto.
Non nego quindi che il cinema negli anni è stato complice dell’attrazione nei confronti di una coppia nella quale un po’ mi riconosco e il romanzo di Zelda Fitzgerald, autobiografico, descrive gli eventi più di quanto possa fare “La morte della farfalla”, esterno alle vicende.
I romanzi del marito Francis Scott Fitzgerald, molto più noti (Belli e dannati, Il grande Gatsby, Tenera è la notte), poco hanno a che vedere con Lasciami l’ultimo valzer, dotato di uno stile meno americano, ricco e fine, capace di riempire i vuoti emotivi della storia e della sceneggiatura che si risolve in alcuni momenti freddamente. Zelda Fitzgerald, che la guidino artificio o emozioni, oppure entrambe le cose, sa scrivere e descrivere i suoi luoghi in modo personale, il mondo di Zelda è ricco di profumi e di immagini oniriche, fa sentire meno soli coloro che si perdono nelle visioni come quelle di Zelda.
Regalo ne L’Ultimo Valzer, è l’ambientazione degli ultimi capitoli della storia proprio a Napoli (come se le descrizioni della Francia, di cittadine dove sono stata anche io, non mi fossero già piaciute). Zelda ricevette infatti un invito a far parte del balletto del San Carlo di Napoli, invito che rifiutò a causa della gelosia del marito e per non separarsi dalla famiglia. Ma nel romanzo la sua alter ego Alabama accetta e si trasferisce a Napoli da sola. Le descrizioni di Napoli sono state così verosimili da farmi ricercare con più di una semplice attenzione se la vicenda fosse vera, ma Zelda rifiutò l’incarico, anche se sicuramente passò a Napoli con il marito e la figlia nei suoi viaggi, in particolare a Capri.
Altre descrizioni che sono come una lucida carezza nei ricordi, sono quelle relative alla Svizzera, al lago di Ginevra, Losanna, Montreaux. Riporto qui alcuni passi in particolare, sebbene l’intero libro sia così, dello stesso livello e dello stesso stile di questi, senza praticamente mai dei cali: ciò vi può dare un’idea di cosa fosse realmente Zelda Fitzgerald, le cui doti di scrittrice sono sempre state adombrate dalla fama e dal successo del marito.
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Come Alabama vedeva il corpo di ballo del San Carlo:
Le ragazze erano diverse dalle russe. Avevano il collo sporco e venivano in teatro con sacchetti di carta pieni di panini ben imbottiti. Mangiavano aglio, erano più grasse delle russe e avevano gambe più corte. Danzavano con le ginocchia piegate e le loro calzamaglie di seta italiana si raggrinzavano sulla piega del ginocchio. […] Le ragazze erano per la maggior parte brutte, e alcune vecchie. Avevano visi vacui e talmente segnati dalla fatica che sembravano cadere a pezzi, non fosse stato per quei muscoli resistenti come corde sviluppati in anni di respirazione controllata. Le magre avevano colli segaligni e ritorti, come imbastiti con un sozzo filo da rammendo; nelle grasse, la carne pendeva dalle ossa come l’impasto da dolci lievitato che fuoriesce dagli stampi di carta. Avevano capelli neri, ma senza riflessi che potessero dilettare stanchi sensi.
[…]
Madame Sirgeva baciò Alabama colma di gratitudine.
– Sei stata brava! Quando faremo il programma per tutto l’anno, sarai tu la prima ballerina. Queste ragazze sono troppo brutte. Non si può fare nulla con loro.
La Svizzera scritta da Zelda:
– Ti sei divertita?
David andò a prendere Bonnie sotto i meli di un color rosa esplosivo, laddove il lago di Ginevra stendeva la sua rete sotto le acrobazie ondulate dei monti. Di fronte alla stazione di Vevey un ponte che pareva schizzato a matita si stagliava piacevolmente sul fiume; le montagne emergevano dall’acqua facendo leva sugli steli della Dorothy Perkins e della clematide viola. La natura aveva imbottito di fiori ogni spaccatura, ogni fenditura. I narcisi striavano i monti come una via lattea, le case si ancoravano alla terra con mucche al pascolo e vasi di gerani. Nella piazza della stazione, signore in pizzo con parasoli, signore in lino e scarpe bianche, signore con sorrisi color mandarino trattavano gli elementi con superiorità. Il lago di Ginevra, martellato per troppe estati da una luminosità crudele, agitava il pugno al cielo, inveendo contro Dio protetto dalla sicurezza della Repubblica Svizzera.
[…]
La pioggia sgocciolava lenta e fulgida come se provenisse da un sole lacrimoso. Le pedane di legno intorno al palco erano bagnate e intrise dal colorante rilasciato dalla serpentina e dal pastone appiccicoso dei coriandoli. Una luce fresca e bagnata splendeva attraverso i funghi rossi e arancio degli ombrelli come in un negozio di lampadari. Un pubblico alla moda riluceva negli impermeabili di cellophane dai colori vivaci.
[…]
L’estate scese fremente da Losanna a Ginevra, decorando il lago come il bordo delicato di un piatto di porcellana; i campi ingiallivano sotto la calura; le montagne davanti alle loro finestre non offrivano altri dettagli, neanche nelle giornate più limpide.
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Un dialogo sulla nave che porta Alabama e David in Europa:
– Il tuo quadro della nave era sbagliato. Quei fumaioli sono delle dame che ballano un minuetto molto aggraziato – commentò Alabama.
– Può darsi. La luna rende le cose molto diverse. Non mi piace.
– Perché no?
– Rovina l’oscurità.
– Oh, ma è così profana! – Alabama si alzò in piedi. Contraendo il collo, si alzò sulle punte.
– David, volerò per te, se tu mi amerai!
– Vola, allora.
– Non so volare, ma amami lo stesso.
– Povera bambina senza ali!
– E’ molto difficile amarmi?
– Credi di essere facile, mia illusoria proprietà?
– Ho sempre desiderato tanto essere pagata, in un certo senso, per la mia anima.
– Chiedi i soldi alla luna: troverai l’indirizzo nella guida di Brooklyn e Queens.
– David! Io ti amo anche quando sei attraente.
– Il che non accade troppo spesso.
– Sì, accade spesso, e non dipende da te.
Alabama si era abbandonata tra le sue braccia sentendo che lui era più adulto di lei. Non si mosse. Il motore della nave produceva scoppiettando una bassa ninnananna.
– Era tanto che non facevamo un viaggio come questo.
– Secoli. Facciamone uno ogni sera.
– Ho composto una poesia per te.
– Sentiamo.
Perché sono fatta così, perché mai?
Perché io e me stessa litighiamo sempre?
Qual è la me più ragionevole e logica?
Qual è quella che dovrebbe desiderare d’essere?
David rise. – Dovrei rispondere?
– No.
– Abbiamo raggiunto l’età della cautela in cui tutto, persino le nostre reazioni più personali, deve passare il vaglio del nostro intelletto.
– E’ molto stancante.
[…]
Alabama uscì imitando un passo che aveva ammirato una volta da qualche parte.
– Ma vi avverto – disse – sono veramente me stessa solo quando divento qualche altro personaggio che ho creato, dotato di meravigliose qualità che provengono dalla mia immaginazione.
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