La partecipazione dell’Italia alla grande guerra del ‘14\18 e i monumenti ai caduti sui fronti di battaglia e sulle trincee segni dell’identità nazionale. Il mattatoio sempre aperto e il monito di Alberto Einstein sul potenziale conflitto con i sistemi d’arma nucleari dietro l’angolo della contemporaneità
Furono collocati nelle piazze e nei luoghi-simbolo delle grandi, medie e piccole città, negli anni immediatamente successivi alla conclusione del conflitto del ‘14/18. Erano i sistemi d’arma, ancora efficienti o residuati di ridotta o del tutto privi di efficienza funzionale – per lo più bruniti “pezzi” d’artiglieria- come cannoni e mortai, che erano stati strumenti di morte e di distruzione sui fronti della Grande Guerra. Integralmente de-potenziati della loro originaria e letale operatività, negli arsenali di Genova e La Spezia , furono destinati a simboleggiare non solo l’afflato, ma anche, e soprattutto, l’orgoglio dell’identità nazionale, dal Nord al Sud.
Era la rivendicazione dell’identità, ch’era stata propugnata dal Risorgimento e affermata dalla proclamazione del Regno d’ Italia nel 1861; identità, che, per la prima volta, era stata tragicamente messa alla prova in trincea e sui fronti di guerra, in funzione anche e soprattutto della massiccia coscrizione militare obbligatoria, che fu attuata in modo capillare e con pesanti sacrifici, di cui sopportarono l’onere maggiore le classi popolari e subalterne, segnatamente le famiglie meno abbienti del mondo rurale, della silvicoltura e della pastorizia, per le quali i giovani figli, chiamati a servire lo Stato in trincea e sui campi di battaglia, da cui spesso non fecero ritorno a casa, costituivano con il loro lavoro basilare fonte di vita economica.
I sistemi d’arma de-potenziati furono considerati segni testimoniali di ferma dignità civile e, in particolare, di quella Italianità, intesa quale espressione d’amor patrio, così come l’avevano concepita gli uomini del Risorgimento, per rendere concreti gli ideali dell’Unità politica nazionale; segni testimoniali da distribuiti sulla gran parte della rete territoriale dei Comuni quale espressione evocativa di valore militare che, negli anni successivi all’epilogo del conflitto, si sfilaccerà e svilirà nel mare magnum della fallace e mistificante retorica del reducismo patriottardo e dell’enfasi del fascismo mussoliniano. E costituirono, a loro volta, lo specchio riflettente di quei miti nazionalistici, nutriti dalle furenti politiche imperialistiche e colonialistiche dell’Ottocento, da cui fu attraversata, quasi fossero una patologia, l’ Europa del Novecento, il Secolo breve, compiutamente raccontato dallo storico britannico Eric Hobsbawm. E così i sistemi d’arma, resi inoffensivi, ma conservando in pieno il loro aspro e duro significato bellicista, diventarono il fulcro dei Monumenti ai Caduti in guerra, in uno con steli e colonne marmoree, sulle cui pareti campeggiano – scolpite sul bronzo- scene di soldati pronti all’assalto con la baionetta innestata nel fucile verso le trincee nemiche e di madri dolenti, chine sui figli-soldati colpiti a morte; scene, accompagnate da bianchi pannelli in marmo, applicati alle pareti di steli e colonne, con le incisioni in caratteri dorati delle generalità dei tanti immolati per amor di Patria.
I MONUMENTI AI CADUTI E LA RETORICA SUBLIMAZIONE DEL CONNUBIO GUERRA-MORTE
Era- ed è- quella dei Monumenti la sublimata e celebrata rappresentazione del connubio guerra–morte, atteggiata nel linguaggio estetizzante dell’arte, per consegnare, in modo plastico e visivo, la memoria dei Caduti in armi alla meditazione delle nuove generazioni, quale testimonianza di dedizione al bene superiore della Patria; una memoria da ravvivare, secondo il calendario delle celebrazioni civili con cerimonie, parate e manifestazioni varie, come per rinnovare costantemente lo “spirito” delle mobilitazioni generali, che precedettero ed accompagnarono gli anni della Grande Guerra, nel segno della politicizzazione dei cittadini e di quella massificazione della società che attraversò in lungo e in largo, le classi dirigenti e le classi popolari, in tutto il contesto europeo, come mai prima era avvenuto; contesto, signoreggiato dalle potenze della Triplice Intesa e da quelle della Triplice Alleanza. E così, le decorose e, talvolta, sontuose scenografie monumentali degli eventi del ‘14\18, furono denominate anche “Parchi della rimembranza”, assumendo i connotati, specie nei centri storici delle piccole e medie città, di ben caratterizzato elemento di arredo urbano, con viali di accesso ben custoditi e aiuole ben curate. E, per completare e “arricchire” di contenuti la missione dei “Parchi della rimembranza” in varie città furono allestiti anche i Musei di guerra, con sale e spazi espositivi con scaffalature e teche per cimeli di guerra, come elmi, bombe, biciclette, fucili, pistole….documenti fotografici, giornali e riviste d’epoca…
LA GRANDE GUERRA E IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE: MATTATOIO APERTO… I SISTEMI D’ARMA “INTELLIGENTI” DEI NOSTRI GIORNI. IL MONITO DI EINSTEIN
La Grande Guerra si concluse con i travagliati e complessi Trattati di pace sottoscritti nel ’19, a Versailles e nel ’20 a Sévres; Trattati non tanto di pace quanto di tregua durata poco meno di venti anni, i cui scenari- nel Vecchio Continente – furono occupati sia dai devastanti e inumani fenomeni totalitari del nazional-socialismo e del comunismo sovietizzato, sia dagli autoritarismi di matrice fascista; fenomeni totalitari e autoritarismi, che non trovarono alcuna sponda in Francia e , meno che meno, nella Gran Bretagna, ancorata al Parlamentarismo, che discendeva dalla Magna Charta libertatum del 1215, e, più ancora, garantita nei diritti sociali e politici dalla forza delle istituzioni d’impianto liberal-democratico, che, con la cultura dello Stato, si erano consolidate e strutturate al meglio nell’Ottocento, sulla scia della civilizzazione moderna e degli sviluppi della rivoluzione industriale, e in Francia. Una tregua ventennale, che sfociò nell’immane secondo conflitto mondiale del ‘39\45, con oltre quaranta milioni di vittime, tra le popolazioni civili e gli schieramenti belligeranti, per non dire delle migliaia di città ridotte in macerie e rase al suolo in tutta Europa. Era stata “officiata” la Guerra totale, conclusa con le bombe atomiche, lanciate dai bombardieri dell’Aeronautica militare statunitense, annientando nella contaminazione delle radiazioni nucleari Hiroshima e Nagasaki, il 6 e il 9 agosto del ’45, segnando la definitiva resa del Giappone, dopo quella della Germania nazista, nel maggio precedente.
Uno scenario sconvolgente che fece pronunciare ad Albert Einstein l’icastico e lapidario monito: ” Non so come si combatterà la terza guerra mondiale, la quarta si combatterà con la clava…”. Come per dire, che dietro l’angolo della storia contemporanea c’era- e c’è- la condizione regressiva dell’umanità allo stato tribale, qualora l’impazzimento umano determinasse l’utilizzo dei sistemi d’arma nucleari. Un monito di visionaria inquietudine, quello del grande scienziato e teorico degli innovativi principi della Relatività, con tante analogie di ordine etico e morale con l’appello, vanamente lanciato da Benedetto XV il primo agosto del 1917, per esortare gli Stati in conflitto a dismettere le armi dell’” Inutile strage ” in atto. Era la strage, che si veniva consumando nel cinico Mattatoio della Grande Guerra, nella cui contabilità si registrarono 1300 vittime al giorno, tra le popolazioni civili e gli uomini in armi. Una contabilità più che quadruplicata nel conflitto del ‘39\45.
Sono numeri, che, nella loro complessa aridità, parlano di vite umane stroncate, per le quali Vittoria e Sconfitta, sono parole scialbe, vuote e senza alcun senso. Numeri di Tragedia, con cui si é ampliata e ulteriormente potenziata la dimensione dei valori simbolici dei Parchi della rimembranza come dei Musei di guerra, associando in un ideale filo di continuità la memoria che onora i Caduti della guerra del ‘14\18 e di quella del ‘39\45. E nel loro prospetto c’è un unico ed esclusivo insegnamento. E’ quello della Pace attiva, che accomuna tutti i popoli nella libertà e nella giustizia. Senza dominanti e dominati. Una prospettiva ardua da praticare, come attestano le tante guerre, che si sono venute combattendo negli ultimi settanta anni in ogni angolo del mondo, mentre si utilizzano sempre più i sistemi d’arma “intelligenti” computerizzati ed affidati ai droni, per recare morte e distruzione ad effetto sicuro, quasi attingendo il limite della sfida irreversibile al monito di Einstein. Un limite ravvicinato più di quanto sia immaginabile, a fronte dell’attuale proliferazione degli arsenali dotati di sistemi d’arma nucleari.