«Non lascio nessuna Chiesa, tantomeno nessuna idea di Chiesa, casomai consegno il sogno di una realtà diocesana che voi tutti avete costruito con me ed io con voi. Sarò con voi domenica prossima, non per consegnare questa Chiesa come fosse un oggetto, ma per affidarvi al cuore del nuovo pastore che vi prego di amare più di quanto abbiate amato me. Accoglietelo e collaborate docilmente con lui. Dove c’è il Vescovo, lì c’è la Chiesa».
«Spesso in questi giorni mi è stato chiesto quale Chiesa lascio. Non lascio nessuna Chiesa, tantomeno nessuna idea di Chiesa, casomai consegno il sogno di una realtà diocesana che voi tutti avete costruito con me ed io con voi. Insieme abbiamo sognato una Chiesa per questi tempi che la provvidenza ci ha donato di vivere e per questo territorio complesso e stupendo. La fisionomia di questa Chiesa possibile l’abbiamo delineata in quella stupenda sinfonia che è stato il Sinodo. Voi tutti, piccoli e grandi, avete composto lo spartito suggeritovi dallo Spirito. Mentre lo eseguivate io ho cercato di essere il maestro di cappella; voi “avete fatto coro”, come ci ricorda sant’Ignazio di Antiochia. Non mi assumo nessun merito, il merito è di tutti. A tutti la mia riconoscenza e quella della Chiesa. La riconoscenza anche a quanti questa sinfonia l’hanno ascoltata e vissuta con senso critico. Anche questo atteggiamento ho rispettato e rispetto perché fa parte di un cammino eccezionale fatto di uomini. Questa sinfonia vorrei ora ricordarla nelle sue tonalità essenziali, perché nessuno ne dimentichi lo spartito: una Chiesa che sa immergersi, adorare, ascoltare, celebrare nella capacità di relazioni. Ricordando sempre che le relazioni diventano sacramento. Una Chiesa dalla parte dei poveri e che come Paolino sa che sono essi a tenerla in piedi».
Con queste parole, monsignor Depalma ha voluto salutare, questa sera, dopo diciassette anni, la Chiesa di Nola che il prossimo 15 gennaio accoglierà il nuovo vescovo, monsignor Francesco Marino. Non parole di invito a guardare con nostalgia al passato, ma parole di incoraggiamento a rivolgere lo sguardo con fede, speranza e carità al futuro.
«Il senso di questa celebrazione – ha aggiunto – non è di addio, saluti o bilanci. Non ci accada di cadere nella tentazione del “censimento di Davide”. Rendo grazie alla santissima Trinità che mi ha offerto la possibilità di essere pastore di questa Chiesa importante non per la grandezza della popolazione: qui si respira la presenza di San Paolino, Sant’Alfonso, San Francesco Saverio Maria Bianchi, San Giuseppe Moscati, il Beato Bartolo Longo. Ringrazio il Signore Gesù che mi ha giudicato degno per la sua misericordia nel fare di me in mezzo a questa comunità cristiana il segno sacramentale di Lui pastore e guida. Dopo diciassette anni sono contento di essere come il servo inutile del Vangelo che ha fatto ciò che doveva fare, come lo ha saputo e potuto fare, deludendo, forse, molte attese e aspettative, ma mi auguro di non aver deluso le aspettative di Dio».
Ha quindi ringraziato i presbiteri per averlo accolto fin dal primo giorno: «Siete stati tutti preziosi per me dal più anziano al più giovane. Mi avete sostenuto con l’affetto, l’amicizia e il perdono»; i laici dell’Azione Cattolica, dei movimenti e cammini ecclesiali: «Mi sono sentito accolto e mi avete arricchito con la ricchezza dei vostri carismi e ministeri; gli «amici» di tutte le istituzioni civili, sociali educative: «Grazie per la collaborazione che avete offerto e offrirete alla Chiesa. Il lavorare insieme è condizione fondamentale per costruire il bene comune; gli uomini della cultura: «Abbiamo tentato insieme di comprendere che la Chiesa non è nemica del pensiero e del confronto; non è chiusa nelle proprie posizioni. Ma nel dialogo e nello studio si scopre quella verità che si fa storia; i giovani: «Volli incontrare per primi voi la sera prima di entrare ufficialmente in diocesi, vi saluto ora mentre da voi mi lascio accompagnare verso il mio futuro. Quella sera vi chiesi di insegnarmi ad essere vescovo, questa sera vi ringrazio perché ho imparato tanto da voi».
Infine ha ricordato l’importante appuntamento della prossima domenica: «Sarò con voi domenica prossima, non per consegnare questa Chiesa come fosse un oggetto, ma per affidarvi al cuore del nuovo pastore che vi prego di amare più di quanto abbiate amato me. Accoglietelo e collaborate docilmente con lui. Dove c’è il Vescovo, lì c’è la Chiesa».
Prima dell’inizio della celebrazione, il sindaco di Nola, Geremia Biancardi, e il Rettore dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Gaetano Manfredi, hanno espresso il loro saluto e il loro ringraziamento a monsignor Depalma per la vicinanza e lo sprone a farsi servitori del bene comune e a scegliere la cultura come risposta alla crisi in atto.
Diciassette anni di invito a curare le relazioni e a coltivare l’umanità propria e degli altri. Diciassette anni nei quali, come sottolineato da don Lino d’Onofrio, vicario generale durante l’episcopato di monsignor Depalma «Abbiamo imparato ad amarci di più», frase che ha sintetizzato il cammino del Sinodo diocesano, chiusosi ad ottobre con la consegna del documento finale.
«Sembra – ha detto d’Onofrio – un’espressione così semplice eppure abbiamo impegnato lunghi anni per arrivare a questa esperienza, perché potesse essere non un bel modo di dire ma un vero stile di vita. Ebbene in questi anni la forza dell’amore ci è stata data come annuncio, la differenza del credente ci è stata proposta come modello, la semplice ma efficace alternativa della concreta vicinanza ci è stata mostrata come via. Abbiamo imparato ad amarci di più. A scoprire che la misura in Cristo non è mai colma, che dopo le giare piene d’acqua arriva la grazia che trasforma l’acqua in vino e come la madre disse “fate quello che vi dirà”, anche lei ci ha ripetuto più volte la stessa espressione di Maria: fate quello che vi dirà. Ci ha consegnato la libertà del confronto e del dialogo, ci ha invitato all’esperienza dell’ascolto e della conversione, ci ha posti gli uni accanto agli altri nella fatica dei passi diversi e delle convinzioni differenti, riportandoci ogni volta alla radice comune del credere insieme. Del confermarci nella fede, del lasciare che lo spirito con libertà agisse. L’esperienza del Sinodo è esperienza ancora aperta perché ci ha immesso in una vita nuova di Chiesa, ci ha fatto sperimentare cosa potesse concretamente significare essere la Chiesa del Concilio, dialogante con la storia, aperta alla vita. Una Chiesa popolo di Dio, una fraternità concreta, una famiglia reale. Raccontare una storia è raccontare di un uomo, noi non sappiamo se senza di lei questa storia si sarebbe ugualmente realizzata, sappiamo per certo che questa storia noi l’abbiamo vissuta con lei. Con lei che la provvidenza ci ha dato come padre e pastore in questi anni, con lei abbiamo imparato ad amarci di più perché abbiamo tutti potuto sperimentare che lei ci ha amati di più».