a cura dell’avv. Vincenza Luciano
Oggi, 8 marzo 2019, voglio raccontarvi la storia di Anna. Anna aveva il mostro in casa e non se ne era accorta. Era lì che fumava vicino al caminetto ma Anna non se ne era accorta. Guardava la partita e Anna non se ne era accorta. Il marito di Anna c’aveva sempre da fare, avanti e indietro con la Fiat Panda, tutti i giorni. Anche quando l’aveva messa incinta per la quinta volta non se ne era
accorta. Anna se ne era accorta solo quando le erano venuti a noia i broccoli. Anna aveva detto a se stessa che era inutile buttare i soldi per il test di gravidanza, lo sapeva da se: il broccolo era un segnale infallibile, micidiale. Cinque volte era rimasta incinta e tutte le volte glielo aveva detto il broccolo. Di figli Anna ne aveva però solo tre. Il primo l’aveva perso appena nato e l’ultimo (il quinto) le era rimasto in pancia al settimo mese e non era più uscito. Aveva il mostro in casa e non se ne era accorta. Neanche la sorella di Anna se ne era accorta. La sorella non c’andava d’accordo col cognato, non si erano mai piaciuti. Una volta il cognato l’aveva strattonata e lei si mise a strillare come un’aquila. Anna allora disse alla sorella: “ma che ti strilli? Ti vuoi far sentire da tutti i vicini? E che vuoi che sia uno spintone ? E cosa avrei dovuto dire io quando mi ha tirato la sedia in testa?” Per Anna era tutto normale. Erano sfoghi del momento perché secondo lei gli uomini hanno queste punte di carattere. Sono un fascio di nervi ma deboli di stomaco. La sedia era volata perché Anna non aveva tolto la cipolla dal sugo. Per Anna c’aveva ragione lui, il marito. Sapete non la digeriva e poi stava male. Comunque aveva funzionato perché dopo la botta Anna la cipolla non l’aveva più messa da nessuna parte. Aveva il mostro in casa Anna e non se ne era accorta, ma non solo lei. Neanche gli altri. Neanche il brigadiere. Un giorno il brigadiere vide Anna in fila alle poste con la faccia viola per un pugno e le disse:”che ti sei fatta Anna?”. Lei per non creare problemi e
chiacchiere rispose che era caduta dalle scale della cantinetta. Il brigadiere guardando Anna, come un papà buono, le consigliò di fare pace con il marito e di essere più tranquilla, di non farlo
arrabbiare. Anna ci aveva provato a non farlo arrabbiare ma lui si era intestardito a portare una donna in casa. Doveva essere una situazione momentanea ma lei si era presa subito la stanza della figlia più grande e si faceva portare il caffè a letto dal figlio più piccolo.
Anna si faceva i fatti suoi e pure la biancheria stirava alla tipa, così per far contento il marito e tenerlo buono. Ma il marito era sempre su di giri, la notte si alzava, girava per la casa sbatteva le porte andava da quella e poi dopo un po’ tornava nel letto di Anna e fumava.
Una sera il marito aveva costretto Anna ad avere un rapporto sessuale. Anna lo lasciò fare per non svegliare nessuno. E dopo quel rapporto rimase incinta per la quinta volta. Lui non voleva
un altro figlio. Dove lo mettevano un altro ragazzino. E poi c’era pure questa signora dentro casa. C’era meno spazio perché bisognava aiutare questa amica del marito in difficoltà, che doveva rimanere poco ma che invece aveva occupato l’armadio del tinello ed era sempre
lì che girava in sottoveste davanti ai vicini e la casa era quello che era. Aveva il mostro in casa e Anna non se n’era accorta. Al settimo mese oramai la pancia di Anna si vedeva e così Anna lo disse al marito di essere incinta. Il marito restò calmo e decise di organizzare una gita tutti e tre, una scampagnata con la signora e i panini. Prima di partire il marito di Anna carico’ sulla macchina
anche una latta di benzina. “Perché prendi la benzina, papà, che la macchia va a disel?” Disse uno dei figli. Lui rispose: “stai zitto, fatti i fatti tuoi”. Anna non se ne era accorta di avere il mostro in casa. Lo capì solo il giorno della scampagnata, quando prima la colpì con una vangata in
testa e poi le diede fuoco. Al bambino morto con lei Anna avrebbe voluto dare il nome del nonno:
Vito. Anna è il nome immaginario che ho dato alla sfortunata protagonista di questa storia vera, tratta dal libro di Serena Dandini “Ferite a Morte”. È la storia di uno dei tanti casi di femminicidio che avvengono ogni anno. I casi di femminicidio sono morti annunciate. Dietro si nasconde una montagna di soprusi e dolore che si chiama violenza domestica. La maggior parte delle vittime, proprio come Anna, non ce la fa a denunciare per paura, per le possibili ripercussioni,
per vergogna, perché non sa dove andare, per non ammettere il fallimento del proprio matrimonio, per preservare i figli che invece non solo sanno e vedono sempre tutto, ma se non allontanati da un
contesto violento tendono a ripercorrere le stesse strade in una reazione a catena senza fine. Nel nostro paese, dietro le persiane chiuse delle case, si nasconde una sofferenza silenziosa. (Cfr. “Ferite a morte” di Serena Dandini). Ed ecco che ogni 8 marzo continuiamo a contare, impotenti, il numero delle donne morte per mano di un uomo che diceva di amarle, anche se quello non era amore ma solo violenza. L’ordinamento giuridico prevede numerosi strumenti di tutela nel caso in cui una donna decida di denunciare una violenza subita. Ad esempio può ricorrere al gratuito patrocinio. In udienza vengono adottate tecniche per separare accusatore da accusato durante la deposizione. In caso di scarcerazione dell’imputato la denunciate deve essere avvertita. Ma tutto ciò non basta, lo sappiamo tutti. Sono state promosse, pertanto, numerose iniziative legislative per rafforzare la tutela a favore delle donne che decidono di denunciare le violenze subite. Non sappiamo se verranno approvate. Eppure è chiaro che è proprio arrivato il tempo di fare delle leggi che aiutino sempre di più le donne vittime di violenza … per non
lasciarle più sole. Nell’attesa voglio fare a tutte gli auguri: oggi e sempre.