a cura dell’avv. Vincenza Luciano
Una nuova disciplina della prescrizione dei reati è quanto previsto dalla legge n. 3 del 9 gennaio 2019, che entrerà in vigore il 1 gennaio 2020 e che contiene ‘misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché, per l’appunto, in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici.
La prescrizione in campo penale è un istituto che porta a ritenere estinto un reato o una pena a seguito del decorso di un determinato periodo di tempo (cfr. Digesto delle Discipline Penalistiche, vol. IX, pag. 659, voce Prescrizione del reato e della pena a cura di Salvatore Panagia). Si tratta di un limite rispetto alla potestà punitiva dello Stato. Qual è la sua ragione? A spiegarlo uno dei padri nobili della procedura penale italiana, Carnelutti: se il processo penale è di per sé una pena, bisogna almeno evitare che la stessa abbia una durata irragionevole. È inumano, infatti, che un cittadino debba attendere decenni per veder riconosciuta la sua innocenza o accertata la sua colpevolezza. È inumano infliggere la pena a persona che il decorso del tempo ha reso diversa da quella che era al tempo del commesso reato. Questo diceva Carnelutti nel 1946. Sono passati più di 70 anni ma siamo ancora qui ad aggrapparci ai suoi insegnamenti. L’irragionevole durata dei processi è ancora tema di cocente attualità. Non per colpa dei magistrati italiani, che sono tra coloro che lavorano di più rispetto ai loro colleghi francesi, inglesi, spagnoli, ecc. ma per carenze organizzative e strutturali, oramai ataviche. Se ciò è vero da una parte, è anche vero che c’è chi da sempre sostiene che ammettere l’estinzione del reato durante il processo comporta uno spreco di risorse e alimenta l’impunità a beneficio di chi riesce ad allungare i tempi attraverso tecniche difensive dilatorie, grazie ad un c.d. “azzeccagarbugli” (cit. Basile-Lonati, in Populismo penale nella riforma della prescrizione, www.lavoce.info). Sicchè il legislatore, con la novella del 2019, accogliendo quest’ultima tesi, ha modificato l’art. 159 c.p. prevedendo che 1) qualunque sentenza, e non più solo quella di condanna, è idonea a “sospendere” il termine prescrizionale; 2) non di sospensione si tratta bensì del fatto che, dopo la sentenza di primo grado, la prescrizione non potrà più maturare. Tutto ciò a partire dal 1 gennaio 2020, con la conseguenza che la sentenza di primo grado emessa prima dello spirare del termine prescrizionale, getta il condannato, ma anche l’assolto, nel limbo dell’eterna attesa del giudizio finale (cfr. avv. Lorena Puccetti in “L’irragionevole durata del processo è diventata legge” in cfnews.it).
Ma la legge in questione prevede anche altre importanti novità tra cui ricordiamo: 1) l’introduzione della misura del c.d. DASPO a vita per corrotti e corruttori, ovvero l’incapacità a vita di contrattare con la pubblica amministrazione; 2) l’innalzamento delle pene per i reati di corruzione per l’esercizio della funzione; 3) la possibilità di utilizzare anche per i reati di corruzione la figura dell’agente sotto copertura.
Non a caso tale intervento normativo ha preso il nome di legge “spazzacorrotti”.