a cura dell’avv. Vincenza Luciano
Nel manifestare il nostro pensiero a volte travalichiamo i limiti stabiliti dalla legge. La cosa è particolarmente seria per i cc.dd. leoni da tastiera, ma può capitare a chiunque. Utilizzare cioè i social network per versare la propria rabbia in commenti, foto e post che ledono la reputazione altrui. Tali condotte possono integrare il reato di diffamazione descritto dall’art. 595 del codice penale, che punisce il comportamento di colui che comunicando con più persone offende l’altrui reputazione. E’ una fattispecie posta a tutela dell’onore.
Ai fini della configurabilità del reato in questione, come ha chiarito in più occasioni la Corte di Cassazione, non è necessaria l’indicazione specifica del nome e del cognome della persona presa di mira: basta che si faccia riferimento ad elementi che rimandino in modo chiaro ad una determinata persona e ne permettano l’identificazione. Il soggetto attivo del reato deve, poi, essere consapevole di ciò che sta facendo. Infine è necessario che la comunicazione diffamatoria coinvolga più persone.
La diffamazione compiuta attraverso Facebook è una fattispecie aggravata rispetto a quella semplice, poiché potenzialmente in grado di coinvolgere un numero indeterminato di persone, attraverso la c.d. condivisione dei post, che rende difficile, quasi impossibile, bloccare la diffusione delle frasi offensive. Chiaramente il contenuto del messaggio deve essere concretamente offensivo e diffamatorio. Pertanto non bastano commenti anche provocatori inseriti in una discussione affinché si configuri il reato di diffamazione. Vanno esenti anche le espressioni colorite, i toni aspri o polemici, il linguaggio figurato o gergale, purché il tutto sia proporzionato e funzionale all’opinione espressa.
Va anche detto che ci sono casi in cui, pur essendoci offesa alla reputazione altrui, non viene posto in essere il reato di diffamazione: come quando si risponde ad una provocazione o si esercita il diritto di critica.
Se si è vittima di diffamazione è necessario presentare una querela nel termine di 3 mesi, che decorrono dal momento in cui si viene a conoscenza dei commenti o post ingiuriosi. E’ utile allegare alla querela il cartaceo che riproduce la pagina Facebook che contiene le espressioni diffamatorie.
Come ha sottolineato il capo della procura di Udine, dott. Antonio De Nicolo, “chi interviene su Facebook parla con il mondo intero e lascia una traccia indelebile. Quello di cui non ci si rende conto è che la prova della diffamazione è documentale. Non occorre neppure chiamare in aula un testimone. Basta esibire la schermata sulla quale appare il post. Anzi potremmo dire che vengono lasciati elementi probatori in abbondanza del reato” (“Quello che scriviamo non si può dimenticare”, in friuli.it).
“Il consiglio è quello di contare fino a 10 prima di attaccare personalmente qualcuno sui social: offendere ed insultare non sono comportamenti solo dovuti al malcostume ma veri e propri reati, tanto nella vita reale che in quella virtuale” (cfr. Isabella Policarpo, “L’insulto su facebook è reato di diffamazione: cosa si rischia”, in money.it).