Il Movimento Irpino per il Bene Comune ha intervistato Emiliana Mangone

Il Movimento Irpino per il Bene Comune ha intervistato Emiliana Mangone

Il Movimento Irpino per il Bene Comune ha intervistato Emiliana Mangone, Prof. di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi dell’Unisa, dato che, nelle conclusioni del suo testo “Persona, Conoscenza, Società” (2012), ha sostenuto che la conoscenza è un bene comune per il futuro. Le questioni su cui si è riflettuto sono: etica, partecipazione e cultura. Sull’etica Mangone sostiene che “nelle società occidentali la politica ha subito l’influenza dei principi etici, intendendo con questo termine quei fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati. Questi principi o la ricerca di essi consentono all’individuo di gestire la propria libertà, soprattutto in relazioni ai limiti entro cui questa si può estendere, distinti nelle due principali dimensioni di laica e religiosa (ed in particolare cristiana). Nell’affrontare le problematiche connesse alla politica e alla rappresentanza politica, solitamente la contrapposizione è tra le due classiche dimensioni dell’etica (laica e religiosa), ma per superare questa contrapposizione forse bisognerebbe parlare di un’ulteriore dimensione che è quella pubblica. Concordo con Bobbio quando nel porsi la domanda se esistono davvero valori laici e valori religiosi afferma che «non esiste neppure un’etica laica, come del resto non esiste un’etica religiosa. Ci sono etiche laiche ed etiche religiose». Contrapporre un’etica laica ad un’etica religiosa rispetto alle questioni connesse con la politica sarebbe superficiale, pertanto, ci asterremo dal fornire speculazioni e congetture, fondate sulla contrapposizione di queste due dimensioni dell’etica, che confluirebbero in un quadro approssimativo privo di valore: da qui la necessità di un’etica pubblica e nello specifico di etica pubblica costituzionale, che non si fonda né sulla morale individuale, né sull’etica collettiva (laica o religiosa), ma che rappresenta la visione del mondo. Questa etica è il frutto di un “compromesso” voluto fra gli altri tipi di etiche esistenti, da cui trae regole e principi considerati superiori e, per convenzione, a tutti comuni: l’etica pubblica costituzionale, per suo statuto dunque, si pone lontana sia dall’oggettivismo sia dall’ipersoggettivismo, piuttosto essa è alla ricerca di valori intersoggettivi ed interculturali che aiutino il dialogo tra le differenti posizioni orientata al bene collettivo”. Alla luce di queste considerazioni Mangone afferma: “tutti i cittadini, prescindendo dalla loro fede religiosa e dal colore dell’appartenenza politica, possono orientarsi verso un’etica pubblica costituzionale che garantirebbe il bene collettivo fondando le decisioni sui principi che hanno visto la loro nascita e sviluppo nella Dottrina Sociale della Chiesa a partire dalla solidarietà fino a giungere al principio della sussidiarietà”. Dunque, se si segue questa prospettiva, si potrà essere ugualmente incisivi, perché partendo dai principi costituzionali non si commettono errori anche quando di mezzo c’è il
denaro: l’etica pubblica costituzionale permette di fatto “di dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Invece, sul concetto di partecipazione nella società contemporanea, la professoressa, riflettendo sul problema connesso alla circolazione dell’informazione sostiene che “la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione ha moltiplicato le interazioni remote, facendo assumere una nuova rilevanza al problema della distribuzione sociale della conoscenza che porta con sé tutte le dinamiche connesse alle rappresentazioni sociali (visioni del mondo), mediazioni simboliche tra gli aspetti intimi della vita privata e gli aspetti della vita pubblica delle persone. Il cittadino ben informato di Schütz, un autore della sociologia che ha trattato da precursore alcune problematiche riguardanti la circolazione dell’informazione all’interno dell’opinione pubblica, riletto in funzione della società attuale, sembra auspicare l’affermazione di una cittadinanza moderna che non si configura più solo come diritto, ma anche come dovere e per la quale diviene prioritaria la costituzione di una conoscenza socialmente approvata (bene comune) fondata su forme di libertà responsabili che si palesano attraverso la riflessività sociale, dimensione della riflessività della persona (cattolico cristiano e non) che non è né soggettiva, né strutturale ma correlata all’ordine di realtà della relazione sociale (vale a dire connette i differenti elementi che costituiscono la società)”. È da qui che nasce la problematica legata al rapporto conoscenza-società, sia in termini di accesso equo alla conoscenza sia in termini di utilizzo della risorsa conoscenza, perché, sostiene Mangone “la globalizzazione, i cui effetti si ripercuotono sulla dimensione economica e socio-culturale della società, ha favorito anziché ridurre vincoli d’interdipendenza (soprattutto di carattere economico tra i territori più ricchi rispetto a quelli più poveri) e condizionamenti nelle relazioni sociali. Nella realtà dei fatti ha prodotto un riordinamento del tempo e della distanza all’interno dei contesti sociali che hanno conseguentemente modificato tutti i processi sociali compresi quelli di produzione e distribuzione della conoscenza”. Alla professoressa non piace il termine cittadinanza attiva perché il termine “attivo” non le sembra sufficientemente carico di un’accezione comunitaria e soprattutto di quella distribuzione di “potere” che è insita nel termine “partecipazione”. Infatti ritiene che “nell’attuale contesto culturale e politico la cittadinanza si deve configurare come una cittadinanza partecipativa, in cui le politiche di governo del territorio devono consentire ai cittadini la partecipazione alla vita di governo e/o il rafforzamento del senso di appartenenza al territorio. Le nuove modalità di governo orientate, almeno sulla carta, alla governance non solo dovranno accentuare le azioni dei cittadini nel definire i loro bisogni, ma dovranno soprattutto riconoscere il ruolo che essi e le loro aggregazioni (formali e informali) possono avere come partner in un processo di sviluppo piuttosto che come destinatari passivi di benefici e servizi. Negli ultimi decenni si è sviluppato un processo di partecipazione, che ha allargato la platea dei soggetti che entrano in qualche modo e a diverso titolo nel processo di decision making e di programmazione di un territorio. La cittadinanza partecipativa si deve sostanziare contemporaneamente in un obiettivo delle politiche di governo di un territorio e in un aspetto di metodo che caratterizza la presa di decisioni, la pianificazione e la programmazione degli interventi”. È possibile, quindi, immaginare differenti modalità di cittadinanza partecipativa sulla base di prospettive differenti e complementari: “a) una modalità per contribuire all’elaborazione e all’attuazione di politiche per la tutela e garanzia di un bene comune; b) una modalità come diritto di influenzare in maniera democratica i processi decisionali rilevanti per la vita individuale e collettiva di un territorio; c) una modalità come diritto a essere inclusi, ad assumere dei doveri e delle responsabilità nella vita quotidiana a livello della comunità locale, poiché è nella vita quotidiana di ogni singolo individuo che inizia a svolgersi la partecipazione. Lo sviluppo di un territorio non può prescindere dalle dinamiche identitarie e di appartenenza che si manifestano attraverso l’esercizio della cittadinanza partecipativa, infatti, attraverso la tutela dei diritti e l’assolvimento dei doveri, si contribuisce alla conservazione, all’ampliamento, alla produzione dei beni comuni e al rafforzamento del senso di appartenenza e di identità, rendendo protagonista i cittadini e il territorio nel suo insieme”. Infine, sul concetto di cultura Mangone afferma che “la cultura si propone come uno dei luoghi privilegiati della “nuova economia”, l’incontro tra cultura e territorio rappresenta una delle opportunità più preziose per lo sviluppo; tuttavia, la presenza di risorse permanenti rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente allo sviluppo: a essa si deve associare la diffusione di culture dell’organizzazione e della progettazione che, attraverso la strutturazione in rete, permettano una fruizione integrata dei beni artistico/culturali. Le potenzialità connesse a una gestione più dinamica e attiva del patrimonio culturale devono radicarsi e moltiplicarsi sul territorio attraverso la creazione e il consolidamento permanente: strutture fisiche, archivi e biblioteche, musei, eccetera; tecniche e metodologie di intervento, progettazione e gestione dei servizi, e organizzazione; fattori di base, conoscenza del patrimonio, formazione del personale. Queste sono le risorse che rendono una politica artistico/culturale propulsiva ai fini dello sviluppo di nuove attività produttive e della valorizzazione e promozione del territorio. Valorizzare il patrimonio artistico/culturale significa offrire anche nuove opportunità al settore turistico. La chiave di volta del turismo artistico/culturale è nella specificità dell’offerta: un qualunque modello di intervento dovrebbe prevedere la connessione tra i diversi aspetti del patrimonio artistico e culturale, e perché no anche enogastronomico, in modo da permettere la progettazione di percorsi turistici diversificati per i differenti target e distribuiti lungo l’intero arco dell’anno. Tutto ciò, però, presuppone una forte capacità progettuale: un adeguato modello di sfruttamento dei beni artisti e culturali può agevolare fortemente il raggiungimento di obiettivi ambiziosi nella rivitalizzazione di aree depresse”. Infatti Mangone dice che la cultura racchiude in sé i mezzi e le finalità dello sviluppo: “è in grado, puntando sulla sua ricchezza, di sviluppare attività economiche che generano valore aggiunto e occupazione. Per sviluppare turismo artistico/culturale sono necessarie risorse finanziarie, partecipazione e consenso: in questo senso esistono vari strumenti, ma il punto più delicato resta quello della formazione degli operatori in grado di ideare, progettare, realizzare e gestire. La strutturazione in rete permette una fruizione integrata dei beni artistico/culturali; questa è la visione del territorio che deve farsi strada ma che tarda a venire e che appare sempre di più come l’unica via percorribile per la valorizzazione di singoli aspetti che lo compongono (al di là di ogni campanilismo) piuttosto che la frammentazione che finora ha caratterizzato le politiche dell’intero settore artistico/culturale”.