….di Daniele Acerra
Il 27 gennaio 2015 il Senato approva la riforma elettorale: non è ancora legge, il testo ritornerà alla Camera per l’approvazione definitiva. La legge elettorale è stata il perno attorno al quale venne siglato, e in seguito sviluppato, il patto del Nazareno Renzi-Berlusconi, ormai ben un anno fa. Il segretario del pd la chiamò “Italicum”, cercando di allontanare le accuse di uno scopiazzamento di qualche sistema straniero, rivendicandone l’italica origine. Dopo un iter lunghissimo, possiamo dire di avere tra la mani una versione più o meno definitiva. E’ mia intenzione provare a fare un’analisi concisa del testo, sviluppandola per punti chiave.
Proporzionale – La prima cosa che possiamo affermare è che si tratta di un sistema proporzionale, corretto dal premio di maggioranza assegnato alla lista che ottiene almeno il 40% dei voti o che vince il ballottaggio.
Sistema spagnolo? – Quando fu presentato l’Italicum, saltò subito all’occhio la somiglianza con il modello presente in Spagna: proporzionale con collegi plurinominali mediamente piccoli. I collegi di piccole dimensioni (in Spagna in media in ognuno si eleggono sette deputati) servono a correggere il proporzionale in senso maggioritario e regionalistico, ciò avviene perché i partiti minori, in collegi di quelle dimensioni, raramente riescono ad eleggere più di un rappresentante, a meno che non abbiano una forte presenza territoriale. Nell’Italicum ciò non può avvenire perché, a differenza che in Spagna, il riparto dei seggi avviene comunque su base nazionale. La scelta delle dimensioni dei collegi viene perciò annullata nel suo scopo.
Soglia di sbarramento – La soglia di sbarramento è al 3% per le liste (il 20% circoscrizionale nel caso di minoranze linguistiche) ed è relativamente bassa se pensiamo alle intenzioni originali.
Preferenze – Non sono un simpatizzante delle preferenze, ma l’uso che i partiti hanno fatto del Porcellum e delle sue liste bloccate è stato una delle cause della crisi di rappresentanza di questi anni. Urgeva rimedio. Il rimedio trovato dall’Italicum è un mirabile esempio di compromesso. L’opinione pubblica rivuole le preferenze, i partiti vogliono le liste bloccate, allora si fa così: ritornano le preferenze, ma gli eletti certi, cioè i primi della lista, sono bloccati. Questo, collegato ai collegi piccoli, verosimilmente significa che oltre la metà dei deputati sarà capolista eletto senza preferenze. E’ introdotta la preferenza di genere (doppia preferenza, se vuoi esprimere la seconda, deve essere di sesso diverso) e le quote rosa nelle liste. La doppia preferenza di genere suona come una forzatura, forse ancora necessaria, ma vedremo se porterà qualche sostanziale differenza (personalmente spero non sia causa di discutibili apparentamenti di convenienza).
Premio di maggioranza e ballottaggio – Vengono attributi 340 seggi alla lista che ha ottenuto più voti se quest’ultima ha superato il 40%, in caso contrario si va al ballottaggio tra le liste più votate. Il premio di maggioranza passa, dunque, dalle coalizioni alle liste. In questo caso si sono seguite le indicazioni della Consulta che aveva bocciato un premio di maggioranza indiscriminato, senza soglie da raggiungere. Ma qui nasce un’anomalia tutta italiana: il ballottaggio tra liste. Il ballottaggio è un sistema che permette di scegliere tra i candidati più votati al primo turno che non abbiano raggiunto la maggioranza assoluta, ma è usato in genere per elezioni che hanno come soggetti delle persone. Come si adatta quando la scelta ricade sulle liste, senza possibilità di coalizioni o apparentamenti? Non lo possiamo sapere, visto che, ripeto, non è mai stato sperimentato. Sembra, più che altro, che si voglia attribuire al partito vincente la funzione di “pigliatutto” per inseguire lo spettro della governabilità. Questo senza toccare l’effettiva rappresentatività del sistema ma usando meccanismi artificiosi. Il ballottaggio impone una scelta in ogni caso, e attribuisce un premio di maggioranza molto ampio, ciò vuol dire che, considerando una soglia di sbarramento relativamente bassa, molti partiti andranno a dividersi le briciole. Ma perché non adottare un sistema che garantisce governabilità senza andare a snaturare la rappresentanza degli elettori? Il sistema spagnolo ad esempio…
Collegi? – Ci metto un punto interrogativo perché questa è un parte oscura e delicata. Il testo riduce le circoscrizioni a venti, una per regione, e attribuisce una delega al governo per la formazione dei collegi (circa 100, 600.000 abitanti ognuno) che dovrebbero essere omogenei per territorio e popolazione. La cosa è tutt’altro che semplice, perché la sola composizione dei collegi plurinominali può avere un grosso impatto sul ruolo della nuova legge. Sono preoccupato perché nella bozza del febbraio scorso, invece di esaminare la questione, avevano usato l’espediente di accorpare i vecchi collegi uninominali del Mattarellum a tre a tre. Così il vecchio collegio di Atripalda era finito accorpato con Avellino e S.Giuseppe Vesuviano. Spero che il governo sia più oculato.
Entrata in vigore – Tutto quello appena scritto deve essere condito con un altro enorme punto interrogativo: questa legge verrà mai utilizzata? Il testo stesso prevede che la legge entri in vigore il primo luglio 2016. E’ collegata all’approvazione di una modifica costituzionale che cancelli il Senato elettivo. Sì perché l’Italicum vale solo per la Camera, ora come ora per il Senato la legge non c’è, o meglio è il Porcellum modificato dalla Consulta.
Tirando le somme, questo parlamento ha il merito di aver quasi approvato una legge elettorale della quale si parla dal maggio 2006. Ma il problema potrebbe essere proprio questo: la propaganda è stata feroce, e per rincorrere questo obiettivo, si rischia di far accettare all’opinione pubblica una legge che è tutt’altro che buona. I difetti sono tanti, e sembra che si sia fatto il minimo per adattare il Porcellum alle indicazioni della Corte Costituzionale. Ovviamente è frutto di un compromesso, ma resta distaccata dall’obiettivo che dovrebbe avere: disciplinare equamente la rappresentanza democratica. La governabilità promessa è legata al premio di maggioranza; il miscuglio tra liste bloccate e preferenze non risolve il problema, anzi crea differenza tra eletti e rischia di consolidare l’idea di una casta di garantiti. In più non risolve una altro problema della legge precedente: l’ingovernabilità del Senato. Non lo risolve perché semplicemente toglie il Senato dai giochi. Ma si è sicuri di approvare una riforma costituzionale, di così grande portata, entro un anno e mezzo, se ci son voluti dodici mesi per non avere ancora una legge per la quale l’accordo era già preso? Oppure si forza, e pur di poter dire che qualcosa si è fatto, si stravolgono le istituzioni democratiche (e il progetto fa pensare a questo). Alla fine Renzi prometteva una riforma al mese, ci ha messo un anno per arrivare ad una testo pessimo che non è ancora approvata e che, comunque, forse non entrerà mai in vigore. Sfruttando l’idea di “cambiamento”, dovrebbe propinarci un testo pessimo. Insomma, il cambiamento non è sempre in meglio.