Il 13 luglio è il giorno del convegno organizzato dall’Ordine degli Architetti di Avellino su Fiorentino Sullo per discutere dell’Urbanistica e della riforma mancata, tema trattato con autorevoli relatori del mondo universitario e politico. Abbiamo anticipato i temi dell’evento con l’arch. Antonio Verderosa, persona vicina al Consiglio dell’Ordine, docente, esperto in materia di procedure edilizie e pianificazione territoriale, redattore di importanti riviste specialistiche, nonché studioso delle riforme sulliane in quanto la sua formazione universitaria e post si è sviluppata al fianco del prof. Petrignani con cui ha collaborato nel mondo accademico.
Secondo te perché nasce la riforma Sullo?
Sullo sfondo del miracolo economico italiano, l’Italia stava attraversando un periodo di intensa crescita, destinata, però, ad arrestarsi. Al termine di tale processo ci sarebbe stata un’altra Italia. Cosciente di ciò, il ministro Sullo riteneva il Paese si trovasse innanzi ad un processo unico di trasformazione. Il boom e la ricostruzione avevano generato un vero e proprio capovolgimento economico, una transazione da un sistema agricolo ad uno industriale in continua espansione. I prezzi delle case in città come Roma, Milano, Palermo erano cresciuti di pari passo con l’aumento della domanda, causata dalle migrazioni interne e dalle rinnovate disponibilità economiche. La difficoltà che molti amministratori locali lamentavano era quella dell’enorme costo di realizzazione di edilizia popolare, causata dagli elevati costi dalla rendita fondiaria dei terreni. Si avvertiva, inoltre, un importante vuoto normativo in merito, una legge urbanistica ben ponderata avrebbe tagliato alla radice il fenomeno speculativo. Nello specifico la proposta era di espropriare ad un prezzo fisso tutte le aree necessarie all’espansione urbanistica, indipendentemente dalla loro destinazione finale nel piano regolatore, permettendo di concedere un indennizzo equo a tutti i possidenti terrieri, senza distinzione alcuna.
Qual’era la pietra miliare della riforma del Ministro Sullo?
I cardini della riforma erano: la concezione e le modalità dell’esproprio delle aree fabbricabili, l’introduzione del diritto di superficie, la determinazione del prezzo improntata ad equità e giustizia sociale e la concessione della licenza di costruzione mediante asta pubblica, tutti strumenti giudicati i semplici e validi. L’idea del Ministro Sullo era basata su di un trittico di punti: l’esproprio, in cui il comune in questione doveva acquisire a prezzo di terreno agricolo tutte le aree edificabili secondo ferrei criteri; l’urbanizzazione, per conto della quale l’amministrazione locale avrebbe dovuto farsi carico delle strutture urbane (strade, sottoservizi, parcheggi, allacci, ecc) e la rivendita, dove l’autorità locale avrebbe ceduto ai costruttori le aree già urbanizzate. La cessione, però, non doveva riguardare la proprietà del suolo in sé ma il diritto di superficie per consentire la edificazione. In realtà veniva ceduto solamente ciò che veniva edificato sopra il suolo mantenendo quindi intatti i diritti di proprietà. In siffatto modo, i comuni avrebbero potuto predisporre un controllo reale ed effettivo sul piano regolatore e la crescita urbana senza alcuna speculazione. Il Ministro Sullo si insedia nel 1962 nel quarto governo Fanfani, nel marzo dello stesso anno nomina la Commissione per la riforma urbanistica composta tra gli altri dai citati, Astengo, Piccinato e Samonà (i maggiori urbanisti italiani del secolo scorso ed anche di questo secolo), ma anche dal compianto prof. Marcello Petrignani. La Commissione insediata dal ministro Sullo lavorò bene ed in fretta. In appena tre mesi licenziò un testo organico, innovativo e completo che, a detta di esperti e tecnici della materia, era un ottimo testo base, sicuramente suscettibile di miglioramenti ma il cui impianto complessivo avrebbe retto a tutte le insidie parlamentari largamente prevedibili. Con la legge Sullo si sanciva il principio del rapporto tra la programmazione economica e la pianificazione urbanistica, le zone di preminente interesse pubblico e la loro subordinazione all’Autorità centrale. Quello che oggi viene definita la parte strutturale e quella operativa secondo la LR 16/2004. Tutta la pianificazione urbanistica era stata divisa in quattro gradi gerarchici: piani regionali; piani comprensoriali; piani regolatori generali comunali; piani particolareggiati. Tra i quattro tipi di piani esisteva un vero e proprio rapporto di gerarchia, in quanto i piani minori dovevano essere sempre subordinati a quelli maggiori. Profondamente innovative erano le disposizioni contenute negli articoli 23 e seguenti che costituirono la pietra dello scandalo e provocarono la rivolta. L’articolo 23 fissava un principio di carattere generale: l’espropriazione da parte dei Comuni di tutte quelle zone non edificate che erano comprese nei piani particolareggiati nonché di quelle aree già edificate nel caso che il fabbricato costruito era sensibilmente difforme dall’utilizzazione prevista dal piano particolareggiato. I diritti dei proprietari erano salvaguardati con la corresponsione di un indennizzo.
Si trattò dunque di una riforma visionaria di grande impatto, continui…
L’indennità di esproprio era determinata dall’articolo 24. In esso veniva posta la fondamentale distinzione tra le aree, che precedentemente al piano regolatore generale non avevano destinazione urbana, e quelle che invece erano comprese in zone urbanizzate. Per le prime l’indennità era ragguagliata al valore agricolo del terreno perché ogni eventuale aumento del suo valore era legato esclusivamente al piano di urbanizzazione; per le altre era introdotto un criterio di valutazione comparativo con i terreni di nuova urbanizzazione corretto con un particolare parametro; per le aree già coperte da costruzione l’indennità era commisurata al prezzo di mercato. Il Comune, acquisite le aree, che potevano essere lasciate in comodato al proprietario fino all’effettiva loro utilizzazione, provvedeva alle opere di urbanizzazione primaria. Cedeva, poi, in via ordinaria con il sistema della vendita mediante asta pubblica, il diritto di superficie a coloro che intendevano costruire, ad un prezzo di cessione determinato dall’indennità di esproprio maggiorata dal costo delle opere di urbanizzazione e dei servizi pubblici da effettuarsi nella zona e da una quota delle spese generali. L’articolo 32 introduceva il nuovo istituto della “Licenza d’uso” attraverso il quale si controllava che le costruzioni venissero realizzate in conformità alle norme stabilite al momento del rilascio. Questi strumenti, davvero innovativi e, forse, per qualche verso spregiudicati (per usare un aggettivo utilizzato dallo stesso ministro) si prefiggevano l’obbiettivo di un effettivo controllo e un’efficace razionalizzazione del territorio. Con questa legge veniva attuato un concreto decentramento, in un disegno complessivo e di indirizzo organico centrale e regionale, a favore delle Amministrazioni locali demandando loro concreti e reali poteri che erano prima dello Stato. Le forze conservatrici politiche ed economiche che avevano i loro punti di riferimento nella Confindustria, nell’alta finanza milanese e nel partito liberale e in larga parte nel partito della Democrazia Cristiana, orchestrarono, in men che non si dica, una violenta campagna contro il ministro Sullo attraverso i giornali che ad essi si riferivano e attraverso la stessa televisione di Stato (allora non c’erano ancora le televisioni private) che fece da portavoce, attraverso le tribune elettorali. Siamo nell’aprile del 1963 e si era in piena campagna elettorale .
Se la legge Sullo fosse stata approvata che riflessi avrebbe avuto sulle grandi città? Le stesse sarebbero state più vivibili?
Al ministro fu conferito il premio nazionale IN/ARCH. 1962 riservato ad un provvedimento legislativo o di iniziativa pubblica “…per aver promosso il disegno peruna nuova legge urbanistica…” Sullo affermava “….se non vogliamo che siano 30-40 mila ettari o l’appartenenza di questi suoli a determinati proprietari a determinare il processo di insediamento umano dei prossimi dieci anni, una legge va approvata…”. Sullo sosteneva che la precedente legislazione in vigore comportava che l’espropriazione di un’area nei confronti di un privato, e la sua infrastrutturazione per mano pubblica, del comune non avvengono perché un secondo privato possa trarne un vantaggio speculativo, ma si giustificano solo se, in quanto e fino a quanto il privato cessionario sia in grado di utilizzare l’area stessa in conformità ad un fine pubblico o ad un fine privato riconosciuto in armonia con i fini pubblici. Questo era il suo assioma. Non dovevano esserci vantaggi per i singoli ma per l’intera collettività senza distinzione alcuna tra i proprietari terrieri. Una sorta di perequazione compensativa tra le proprietà private. Se la legge fosse stata approvata la speculazione edilizia in città come Roma, Palermo, Firenze, Napoli e Milano non si sarebbe avuta in quegli anni di cementificazione selvaggia senza regole con i guasti irrimediabili sotto gli occhi di tutti. Purtroppo, il 13 aprile del 1963, il giornale della DC, “Il Popolo” comunicava che il partito si dissociava dall’operato del Ministro Sullo. Si andò alle elezioni e si formò il primo governo di centro-sinistra della storia repubblicana con Aldo Moro Presidente del Consiglio ed il socialista Pieraccini nominato Ministro dei Lavori Pubblici al posto di Sullo.
Quindi in questa fase, assistiamo ad un declino del riformismo degli anni ’60, continui…
La compensazione urbanistica era ed è necessaria per evitare esborsi ai comuni per le espropriazioni ed urbanizzazioni. Per dotare la città ed i territori di standard pubblici con impatti finanziari pressoché nulli. E’ come detto una modalità alternativa all’esproprio per pubblica utilità, finalizzata all’acquisizione delle aree destinate a uso pubblico dai piani urbanistici: a fronte della cessione gratuita di tali aree, il piano assegna alla proprietà diritti edificatori con valore non inferiore a quello delle aree da acquisire, con la possibilità di esercitare tali diritti su una parte minoritaria delle aree stesse (nella prassi non superiore al 30%) ovvero di trasferirli su altre aree individuate dal piano. Un’altra forma di compensazione urbanistica consiste nell’incentivazione di interventi di riqualificazione urbana, sempre tramite l’assegnazione di diritti edificatori eventualmente da trasferire. Nella normativa nazionale non sono presenti disposizioni specifiche per la compensazione urbanistica, tranne la possibilità di realizzare sulle aree così cedute interventi di edilizia residenziale sociale, come dotazione territoriale aggiuntiva, una volta soddisfatti quindi i normali standard urbanistici. In questo modo le compensazioni avrebbero permesso e permettono all’amministrazione di non sostenere costi per l’acquisizione dell’area necessaria all’insediamento dell’opera pubblica, degli standard pubblici e della urbanizzazione primaria e secondaria. L’istituto della compensazione è del tutto similare alla riforma Sullo in quanto nelle previsioni dell’epoca, il Comune, acquisite le aree, provvedeva immediatamente alle opere di urbanizzazione primaria. Cedeva, poi, in via ordinaria con il sistema della vendita mediante asta pubblica, il diritto di superficie a coloro che intendevano costruire, ad un prezzo di cessione determinato ed equo dall’indennità di esproprio maggiorata dal costo delle opere di urbanizzazione e dei servizi pubblici da effettuarsi nella zona e da una quota delle spese generali. La compensazione come la cessione in diritto di superficie di aree già urbanizzate avrebbe determinato innanzitutto che tutti i comuni (soprattutto le città metropolitane citate) si dotassero di aree a standard ed urbanizzazioni primarie e secondarie, che le stesse erano nella disponibilità effettiva dell’amministrazione e che soprattutto vi sarebbe stata la crescita ordinata della città.
Quali sono i rischi all’attualità se non si realizzano gli standard pubblici da cedere all’amministrazione? In che fenomeni si incorrerebbe?
Si contribuisce a non far crescere ordinatamente una città che non è più in grado di sopportare i carichi urbanistici. Sullo credeva in città sostenibili in grado di sopportare i carichi urbanistici. Di qui l’introduzione nella Legge Ponte su input del Ministro Sullo e della Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (di cui all’epoca come detto faceva parte anche il prof. Marcello Petrignani) di obbligare il Ministro dei Lavori Pubblici ad emanare il decreto sull’obbligo e le quantità degli standard urbanistici negli strumenti di pianificazione. Decreto, ancor in vigore purtroppo mai applicato a dovere dalle amministrazioni e dagli operatori del settore. Faccio un esempio che nella città di Avellino è sotto gli occhi di tutti. Aree che nei precedenti strumenti urbanistici erano classificata come standard pubblici (e che per natura e definizione divengono inedificabili con i piani successivi) da cedere all’amministrazione comunale così per espressa previsione del Piano che all’epoca (1971) che le includeva nelle allora aree di espansione , non si comprende in base a quale norma, queste aree in centro città che in previsione dovevano sopportare i nuovi carichi urbanistici perché destinate a parcheggi e verde pubblico, poi si ritrovano con una incredibile capacità edificatoria (su di esse si realizzano cubature incredibili) con l’entrata in vigore del P.U.C. Cagnardi del 2008. Strumento anch’esso superato dopo l’entrata in vigore del D.M. 1444/68.