“Le donne non sono una fauna speciale e non capisco per quale ragione esse debbano costituire, specialmente sui giornali, un argomento a parte: come lo sport, la politica e il bollettino meteorologico.”Con questo frammento di Oriana Fallaci, giornalista nonché nota scrittrice, ho deciso di inaugurare la mia rubrica. Così scriveva la Fallaci nel 1961 nel suo libro: “il sesso inutile-viaggio intorno alla donna”. Sono passati moltissimi anni e la realtà è esattamente la stessa. La parità che tanto si decanta è ancora in parte apparente. Il genere femminile viene ancora distinto da quello maschile. Essere donna continua, a volte, ad essere ancora un peccato proprio come la notizia di aspettare una bambina, in tempi assai remoti, era per il pater familias un disonore. È come se la donna si portasse dietro una colpa. Ma, per aver commesso cosa?
Il tema che ho deciso di affrontare oggi parte proprio da questa ideologia. Oggi, insieme a voi, voglio affrontare il tema del Femminicidio. Il suddetto termine si usa quando in un crimine, il genere femminile della vittima è una causa essenziale, un movente del crimine stesso. Questa cattiva abitudine, talvolta, matura in ambito familiare a causa di atteggiamenti sbagliati che si trasmettono ai figli che riproducono i comportamenti della coppia genitoriale nel modello della vittima e del carnefice in un crescendo di annientamento e violenza. Nel 2011 il comitato della Cedaw (Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna) ha richiesto all’Italia di strutturare un metodo per raccogliere i dati sul femminicidio ma il nostro Paese è indietro e una raccolta ufficiale ancora non esiste. L’unica realtà in Italia che si occupa di raccogliere le notizie sul femminicidio basandosi su quanto la stampa raccoglie è la “Casa delle donne di Bologna” dal cui “baule informativo” ho tratto alcuni dati interessanti per conoscere il fenomeno a 360 gradi. Dal 2011 al 2013, si sono avuti circa 300casi (137 vittime nel 2011, 124 nel 2012, 50 circa nel 2013). Nel giro di pochi anni circa 300 donne sono state uccise abbandonando la propria famiglia e i propri figli. La distribuzione geografica è abbastanza omogenea lungo il Paese, sebbene si possono notare alcuni addensamenti nelle aree del milanese e del napoletano. Gli omicidi si possono dividere anche in base al mezzo utilizzato per uccidere. Nella maggior parte si uccide in modo quasi atavico: con un’arma da taglio (coltello usato in cucina) o a mani nude. Sono, infatti, usate raramente le armi da sparo e ancor più rare sono le uccisioni con corpo contundente o i casi in cui le donne vengono arse vive. Le vittime, generalmente, hanno un età compresa tra 25 e i 45 anni. Sono questi gli anni in cui una donna si realizza in ambito lavorativo, diventa mamma o nonna ed ecco che la vittima non è una soltanto. Chi lo spiega ad un bambino che la sua mamma non c’è più perché l’uomo che diceva di amarla l’ha ammazzata? Come riuscirà , un figlio,a vivere con questa consapevolezza?. Fino a quando i numeri non hanno iniziato a parlare chiaro, si è sempre banalizzato il fenomeno, considerandolo un’invenzione mediatica.
Il primo intervento in materia lo abbiamo con molto ritardo infatti, nel 2011 con la “Convenzione di Istanbul”, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante e volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne. In Italia, il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la legge n.77/2013. L’Art 1(a) della Convenzione recita “proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire, ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica”. Ma, può un insieme normativo porre fine a tutto ciò? Rubare è un reato eppure continuano ad esservi innumerevoli furti. Avendo molto a cuore il problema, ho cercato testimonianze di chi da tutto questo scempio è riuscita a fuggire. Dai racconti fatti da donne miracolosamente scampate si evince che questi uomini cambiano secondo uno schema che si ripete: inizialmente seduttivi e amorevoli successivamente esigono attenzione esclusiva mettendo in atto strategie che isolino la donna da altre relazioni, la mortificano nella sua autostima, la insultano, la picchiano e la tengono sotto ricatto tra minacce e richieste di perdono. Le donne restano prigioniere a lungo in questa oscillazione sentimentale, in questo disturbo della reciprocità che confonde i pensieri. Subiscono, spesso in silenzio per una vergogna innominabile, una violenza che si declina in molti modi e non trovano il modo di reagirvi, specie se ci sono figli di mezzo. Ecco qui riportate una delle tante testimonianze che mi ha colpito: “Non l’ho lasciato prima perché gli volevo comunque bene, avevo paura di affrontare il mondo da sola e di non riuscire a garantire con il mio lavoro precario un futuro ai miei figli. L’avevo denunciato due volte e poi, confidando nelle sue promesse, avevo ritirato le denunce.”La storia che si ripete è sempre la stessa. Sono molte le donne che dipendono dai propri compagni ed hanno paura di affrontare il mondo in perfetta autonomia. Sono molte anche le donne che non vogliono e non riescono ad accettare che il proprio compagno, che inizialmente ha sbraitato amore, riesca ad infliggere tanto male. Come, quindi, fare? Allora bisogna iniziare da noi, dalla nostra testa di donne, a non confondere l’amore con la sua radicale profanazione, anche quando gli uomini, come spesso accade, sono stati inizialmente amorevoli e a reagire, parlare ed uscire allo scoperto e soprattutto ogni donna deve avere una propria autonomia (soprattutto economica) per non essere vincolata al proprio compagno.