a cura di Giovanna Acierno
Era il 1 Luglio: la vigilia di Italia- Germania. L’Italia intera si apprestava a questo grande match. Dalle abitazioni sventolavano bandiere o altri ghirigori che richiamassero il nostro tricolore. Quello stesso tricolore macchiato di nero, il treno della fascia che i nostri campioni azzurri hanno portato al braccio durante la partita. Stavolta tocca a Dacca, in Bangladesh,una delle città più povere e disperate al mondo, dove la morte quotidiana fa poca o per nulla notizia, se non quella degli stranieri, uccisi in nome di Isis e dell’Islam più radicale. Questo è quanto è capitato a nove dei nostri connazionali durante l’ennesima irruzione in nome di Allah, il “grande”, in un locale della zona.
Una messinscena preparata con minuzia crudele quella dei sette terroristi (così segnalano le forze dell’ordine) che la sera del 1 ,attorno alle ventuno e venti locali hanno fatto irruzione nel Holey Artisan Bakery, un bar-ristorante posto proprio nel cuore del quartiere delle ambasciate. A raccontare con minuzia quegli attimi di terrore sono due cuochi riusciti, per fortuna, a fuggire. Uno di loro Jacopo Bioni, 34 anni di Verona, racconta che quella sera il locale era affollato di Italiani.<< Mi hanno chiesto una pasta speciale all’italiana. Ero appena tornato in cucina per mettermi ai fornelli quando ho sentito scoppi, urla e spari». Ha detto ai giornalisti Jacopo. I terroristi lanciano alcune granate che spaventano e paralizzano molti dei presenti. Hanno grossi borsoni. Non è chiaro se contengano fucili mitragliatori, però dispongono di pistole e soprattutto machete, pugnali, asce e coltelli. La scena pare subito violentissima. È una tattica ben nota: i primi minuti sono quelli che contano in situazioni di questo genere. Chi attacca impone il suo diktat, e più si dimostra violento più fiacca qualsiasi volontà di resistenza e persino di fuga. Lo choc della prima sorpresa può durare ore e ore. E infatti qui funziona. Qualcuno degli avventori si nasconde nei bagni pronto a non risparmiare nessuno, eccetto chi sa recitare il Corano. Oggi le salme delle 9 vittime italiane, sono arrivate in Italia e ad accogliere sul piazzale di Ciampino oltre ai famigliari delle stesse,anche il presidente della Repubblica,Sergio Mattarella.
Ecco chi sono i nostri connazionali morti nell’assalto Cristian Rossi, l’imprenditore del Nord-Est. Sposato e padre di due gemelline di 3 anni, Rossi era stato manager alla Bernardi. Dopo alcuni anni si era messo in proprio. Era in Bangladesh per motivi di lavoro. A Feletto Umberto (Udine), dove l’uomo abitava con la famiglia. Marco Tondat, l’imprenditore del Nord-Est – Aveva 39 anni Marco Tondat ucciso a Dacca. Era nato a Spilimbergo (Pordenone), ma viveva a Cordovado. “Ci eravamo sentiti ieri mattina – ha riferito il fratello – doveva rientrare in Italia per le ferie e abbiamo concordato alcune cose, lo aspettavo per lunedì. Era un bravo ragazzo, intraprendente e con tanta voglia di vivere”. Il fratello di Tondat ha quindi detto che Marco “era partito un anno fa, perchè in Italia ci sono molte difficoltà di lavoro e ha provato ad emigrare. A Dacca era supervisore di un’azienda tessile, sembrava felice di questa opportunità. A tutti voglio dire che quanto accaduto deve far riflettere: non è mancato per un incidente stradale. Non si può morire così a 39 anni”. Claudia Maria D’Antona, il suo scopo era aiutare il prossimo – “Mia sorella Claudia e suo marito Giovanni erano una coppia fantastica, due persone d’oro, con un grande impegno nel volontariato”. Così Patrizia D’Antona, all’ANSA. “Finanziavano – spiega – un’associazione che porta esperti di chirurgia plastica in Bangladesh per curare le donne sfregiate con l’acido. Aiutare il prossimo era sempre in cima ai pensieri di Claudia e di suo marito. Si erano sposati due anni, con una bellissima cerimonia a Dacca, dove avere convissuto per oltre 20 anni”. Nadia Benedetti, la manager che amava il canto – Adorava cantare, la musica e le canzoni di Franco Califano. Ogni volta che tornava nella sua Viterbo non mancava mai di passare al karaoke nel ristorante del fratello Paolo. Sorrideva, si divertiva. Chi la conosceva la ricorda come una persona gioiosa, da sempre dedita al lavoro che l’ha portata a girare mezzo mondo, fino ad arrivare in Bangladesh, dove ieri è rimasta vittima del cruento attentato di Dacca, per mano di quelli che la nipote Giulia, su Facebook, definisce “un branco di bestie”. Nei prossimi giorni l’amministrazione comunale rispetterà un giorno di lutto per ricordare Nadia Benedetti, manager 52enne e figlia di imprenditori che proprio da Viterbo ha mosso i primi passi nell’industria tessile. Simona Monti aspettava un bambino e aveva già prenotato un volo che all’inizio della prossima settimana l’avrebbe riportata in Italia, a Magliano Sabina (Rieti), per un lungo periodo di aspettativa. Simona Monti, la 33enne reatina morta nell’attentato all’Holey Artisan Bakery di Dacca insieme ad altri 8 italiani, dalla scorsa estate, dopo diverse esperienze di studio e lavorative in oriente, aveva scelto il Bangladesh per vivere e lavorare in un’azienda tessile. Maria Riboli mamma di una bimba di 3 anni, spesso in giro per il mondo per il suo lavoro in un’impresa che si occupa di abbigliamento, Maria Riboli avrebbe compiuto 34 anni il prossimo 3 settembre. La vittima bergamasca dell’attentato terroristico di ieri sera a Dacca era nata ad Alzano Lombardo, in valle Seriana. La sua famiglia è originaria di Borgo di Terzo, piccolo centro della valle Cavallina. Dopo il matrimonio, celebrato il 21 marzo 2006, Maria Riboli si era trasferita con il marito Simone Codara a Solza, paese di duemila abitanti dell’Isola bergamasca, oggi scosso per la notizia della morte della giovane concittadina e mamma. Maria Riboli lavorava nel settore dell’abbigliamento e si trovava in viaggio per lavoro per conto di un’impresa tessile. Da diversi mesi era in Bangladesh. Adele Puglisi, una donna “buona, solare, che amava viaggiare e il mare”. Era così per gli amici e i parenti Adele Puglisi, 54 anni, una delle vittime italiane della strage di Dacca. Assassinata alla vigilia del suo rientro a Catania, dove abitava, anche se nella sua città d’origine, raccontano i vicini, “stava al massimo 20 giorni l’anno”, perché, spiegano, “era sempre in giro per il mondo per il suo lavoro”. Era lei stessa a descriversi così sul suo profilo Facebook, pubblicando sue foto al sole e al mare. Lei vittima del terrorismo islamico su Fb il 16 novembre del 2015 aveva postato la prima pagina di ‘Libero’ sulla strage di Parigi commentando il titolo (‘Bastardi islamici’) con un secco “è vergognoso” e aderendo a una petizione che lo contestava. Ma sul social network ricostruiva anche la sua vita lavorativa: era a Studiotex fino al 2010, poi è partita e si è trasferita nello Sri Lanka. Fino ad aprile del 2014 quando ha cominciato a lavorare per Artsana, come manager quality control a Dacca. Vincenzo D’Allestro, l’imprenditore tessile del Sud – Abitava nella mansarda di una palazzina rosa di quattro piani che si affaccia su via don Girolamo Marucella, ad Acerra (Napoli), l’imprenditore tessile Vincenzo D’Allestro, 46 anni, ucciso da un commando dell’Isis a Dacca, in Bangladesh. Nel Parco Azalea, dove D’Allestro abitava con la moglie Maria Gaudio, sono stati i giornalisti a portare la notizia che ha gettato nello sgomento quanti conoscevano la coppia. Secondo quanto si appreso da alcuni condomini l’imprenditore era quasi sempre fuori per lavoro. Claudio Cappelli, l’impreditore del Nord – Aveva una impresa nel settore tessile che produceva t-shirt, magliette, abbigliamento in genere e anche intimo. “Diceva di avere avuto una esperienza positiva e di essere contentissimo. Era da più di 5 anni impegnato in questa ‘avventura’. Era entusiasta e diceva che era un Paese dove si poteva lavorare molto bene” ricorda con dolore il console generale onorario del Bangladesh in Veneto, l’avvocato Gianalberto Scarpa Basteri .( fonte tratta dal sito ansa) C’è un verso di Jonh Donne, a me molto caro, tratto dal suo celebre scritto : ” Per chi suona la campana” che recita così : << Ogni morte d’uomo mi diminusce, perché io partecipo all’Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te.>>
Un’altro pezzo di Umanità, che scema di umani, è andato via. Chiamiamolo pure Dio, quel ” buon” Allah in nome del quale è stato tolto un padre a due splendide bambine di 3 anni. Chiamiamola “guerra santa”, quella che con un unico colpo ha stroncato due vite: quella di Simona e del bambino che portava in grembo.
Chiamiamolo popolo questa mandria di bigotti.