“Mi chiedi anche di raccontare come l’ho vissuta io, quest’Apocalisse. Di fornire insomma la mia testimonianza. Incomincerò dunque da quella. Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la sensazione d’un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo miriguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto: «Down! Getdown! Giù! Buttati giù». L’ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante efottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ma la sensazione ha continuato apossedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. Bè,l’audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedeviuna torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Un corto circuito? Unpiccolo aereo sbadato? Oppure un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata son rimasta a fissarla ementre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda torre come un bombardiere che punta sull’ obiettivo, si getta sull’ obiettivo. Sicché ho capito. Ho capito anche perché nello stesso momento l’audio è tornato e ha trasmesso un coro di urla selvagge. Ripetute, selvagge. «God! Oh, God! Oh, God, God, God! Gooooooood! Dio! Oddio! Oddio! Dio, Dio, Dioooooooo!» E l’aereo s’è infilato nella seconda torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro. Erano le 9 e un quarto, ora. E non chiedermi che cosa ho provato durante quei quindici minuti. Non lo so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo nemmeno se certe cose le ho viste sulla prima torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi piani, ad esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute, e venivano giù così lentamente. Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell’ aria. Sì, sembravano nuotare nell’aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, acceleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a sasso e paf! “(Oriana Fallaci, La Rabbia e l’orgoglio) Stati Uniti, 11 Settembre 2001; Parigi, 13 Novembre 2015; Bruxelles, 23 Marzo 2016; Lahore ( Pakistan), 27 Marzo 2016.
Paesi diversi e con culture diverse, tutti bersaglio del terrorismo Islamico. Più appropriata però è l’espressione “terrorismo religioso” che indica le carneficine messe in atto dai Kamikaze islamici nei confronti delle popolazioni cristiane,dissenzienti verso la loro religione È come dire “Il tuo dio non è Allah? Allora devi morire”. Il giorno 27 Marzo, mentre tutti eravamo nelle nostre case, con i nostri parenti ed amici per festeggiare la Pasqua a Lahore, cittadina cristiana del Pakistan, un Kamikaze si è fatto esplodere. La “Repubblica” parla di “strage dei bambini” perché questa volta i Kamikaze hanno scelto, di sferrare i loro attacchi, in un parco giochi dove centinaia di bambini si erano recati con le proprie madri per trascorrere un pomeriggio diverso nel giorno della risurrezione di Cristo. Stando a quanto riporta ANSA, si contano 72 morti e oltre 200 feriti donne e bambini, principalmente. Circolano in rete diverse immagini di questo attentato, immagini di madri affrante dal dolore, di bambini morti o sanguinanti, immagini di dolore, quel dolore insopportabile ed inspiegabile! Quello che vedete in foto, è un bambino morto durante l’attentato. Un bambino la cui unica colpa è stata quella di volersi divertire in un giorno che doveva essere di Pace e Amore. Oggi, mio pensiero va a lui, alle 72 vittime di Lahore e ai milioni di morti a New York, Parigi, Bruxelles etc.. ” A te, non conosco il tuo nome né la tua storia. Non so quale sia stato il tuo colore o il tuo eroe preferito. Non so se avessi paura del buio, se a scuola ci andassi volontariamente o facevi penare la tua mamma. Di te, non so nulla, o forse so quanto basta per questo mondo che va a rotoli e cioè che eri cristiano e solo per questo hai pagato con la vita. Così piccolo, hai dovuto guardare negli occhi il Male e la morte, tu che alla Morte mai ci avresti pensato. Eri sulla tua giostrina preferita,o forse stavi aspettando mentre la tua mamma ti ammoniva da lontano raccomandandoti di non sudare e di stare attento, quando è partito il primo è forte colpo. Avrai pensato fosse un gioco. Quando poi gli scoppi si sono intensificati, intimorito, avrai cercato la tua mamma, avrai urlato il suo nome, sarai corso verso di lei affinché ti portasse via da lì, perché in fondo il tuo supereroe preferito era ed è la tua mamma nei panni del tuo supereroe preferito. Quel giorno, però, le cose non sono andate come di dovere perché sai anche un supereroe può fallire. Qualcuno si è frapposto tra te e la tua salvezza. Senza remore ti avrà guardato in faccia e quegli occhi pieni di terrore,supplichevoli non lo hanno smosso dalla “missione” che doveva compiere e che gli avrebbe garantito l’ammirazione è un posto nel Djanna (l’ Aldilà che Maometto riserva agli eroi musulmani). Il Paradiso dove ogni eroe ha a sua disposizione 72 vergini e 300 schiavi che gli servono quantità colossali di squisitissimo cibo nonché i vini e i liquori proibiti in vita dal Corano. Non so questo quanto sia vero, certo che un Paradiso di assassini è una gran bella pensata! Tu,di sicuro in Paradiso ci sarai arrivato perché tu,quel giorno,in quel parco eri andato per giocare e l’unica cosa che doveva esplodere, era il cuore, tuo e degli altri, di gioia. Io,comunque un nome per te l’ho scelto, per me sei Hope che in inglese significa speranza. Sai, Hope, oggi qualcuno piangerà, mentre qualcun altro sarà soddisfatto di aver seminato terrore e morte. Ed è inutile soffermarsi su dettagli così spregevolmente assassini, farsi mille domande, chiedere di dialogare con qualcuno che piazza bombe sotto le gambe di innocenti. Oggi è stato aperto un altro vuoto incolmabile, sta a noi fare in modo che sia l’ultimo ed io SPERO davvero che sia l’ultimo! Ciao Hope. Giovanna!
Cari Amici lettori, questo di oggi è un articolo “particolare”, diverso dal solito ma, forse è quello per cui è richiesta una sensibilità più intensa. Il poeta John Donne, nella suo celebre poema “Per chi suona la campana” dice:” La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.” Il 27 Marzo,così come l’ 11 Settembre, la campana è suonata per noi, per un pezzo di mondo che è andato via. L’ISIS minaccia ancora di colpire, soprattutto asili e ludoteche perché a parer loro,un bimbo cristiano è un albero che non da frutti e quindi deve essere rimosso. Questo bambino, può essere un figlio nostro,stroncato nel fiore della sua vita mentre faceva il bambino e si godeva la sua spensieratezza,non restiamo imperturbabili di fronte a tanta brutalità. A mercoledì prossimo.