ROMA (ANSA) – Il calo dei consumi in Italia è sintomo di ”un Paese sotto sforzo”, ”smarrito”, ”profondamente fiaccato da una crisi persistente”. Lo rileva il Censis nel Rapporto annuale evidenziando che nel 2013 su un campione di 1.200 famiglie ”il 69% ha indicato una riduzione e un peggioramento della capacità di spesa”. Nel 2013 le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre dieci anni”: lo evidenzia il Censis. Si tratta di ”un quadro preoccupante nel quale risulta ormai essenziale agire con rapidità in termini di radicale abbassamento della pressione fiscale, di incentivi ai consumi prontamente utilizzabili” e di politiche del lavoro.
Una famiglia su quattro fa fatica a pagare tasse o bollette e il 70% è in difficoltà se deve affrontare una spesa imprevista. Lo rileva il Censis, che parla di ”fragilità” per ”una larga parte del Paese”. L’incertezza ”ha preso il sopravvento” sulle famiglie assumendo ”la forma della preoccupazione e dell’inquietudine”. Nel Rapporto annuale il Censis sottolinea che il 50% delle famiglie teme di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita e il 52% delle famiglie sente di avere difficoltà a preservare i propri risparmi. ”Una larga parte del Paese scopre un’intima fragilità: più del 70% delle famiglie – si legge nel Rapporto – si sentirebbe in difficoltà se dovesse affrontare spese impreviste di una certa portata, come quelle mediche, il 24% ha qualche difficoltà a pagare tasse e tributi” e il 23% le bollette.
Il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza sul futuro del lavoro. Il 14% dei lavoratori teme di perdere il posto. ”Sono quasi 6 milioni gli occupati che si trovano a fare i conti con situazioni di precarietà lavorativa”, ai quali si aggiungono 4,3 milioni che non trovano un’occupazione. Il crollo temuto non c’è stato, negli anni della crisi siamo sopravvissuti. Ma ora abbiamo di fronte una società più “sciapa”: senza fermento, accidiosa, furba, con disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale. E siamo “malcontenti”, quasi infelici, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali. Unico “sale” sono l’imprenditoria femminile, l’iniziativa degli stranieri e la dinamicità degli italiani all’estero.
La “fuga” degli italiani all’estero non conosce soste: nell’ultimo decennio il numero di chi ha trasferito la residenza è più che raddoppiato, da 50.000 a 106.000. Ma è stato soprattutto nel 2012 che l’incremento ha visto un boom: +28,8% tra il 2011 e il 2012. Sono soprattutto giovani: il 54,1% ha meno di 35 anni.Secondo un’indagine del Censis condotta nell’ottobre 2013, pubblicata nel Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese, un milione e 130 mila famiglie ha avuto nel 2013 almeno un componente all’estero per più di tre mesi. A questo 4,4% di nuclei familiari che hanno almeno una persona all’estero si aggiunge un altro 1,4% in cui uno o più membri stanno progettando la partenza o sono in procinto di trasferirsi. Quasi la metà dei giovani che si trovano all’estero (44,8%) vive ormai stabilmente in un altro Paese; per un ulteriore 41,8% il futuro appare ancora tutto da decidere (il 24,7% non sa se restare o tornare). Il 17,1% pur trovandosi all’estero per un periodo limitato si sta però attivando per restarci. Il fatto che una quota così consistente di italiani intenda stabilirsi oltralpe è legata in gran parte alle opportunità occupazionali che contraddistinguono altri Paesi rispetto all’Italia. A fronte di un 20,4% che si trova all’estero per ragioni formative, infatti, la maggioranza (72%) ha un’occupazione mentre il 5,3% ne sta cercando attivamente una. Tra gli occupati, i più (57,1%) lavorano per aziende o organismi stranieri o internazionali, mentre vi è un 5,7% occupato presso un’impresa o struttura italiana con sedi all’estero; significativa è anche la quota di lavoratori autonomi (9,2%) che hanno un’impresa o svolgono un’attività libero-professionale.
Il 41,2% degli italiani ritiene che il Servizio sanitario nazionale offre le prestazioni essenziali mentre le altre vanno pagate di tasca propria, il 14% reputa insufficiente la copertura per sé e la propria famiglia, mentre il 45% ritiene che la copertura sia sufficiente. Nel Rapporto si evidenzia anche un aumento del ricorso al privato o alle prestazioni in intramoenia (in strutture pubbliche ma a pagamento), anche perché ”il 27% degli intervistati, in una indagine realizzata dal Censis, dichiara che gli è capitato di dover pagare un ticket su una prestazione sanitaria superiore al costo che avrebbe sostenuto se avesse acquistato la prestazione nel privato pagando il costo per intero di tasca propria”. Si ricorre alle cure a pagamento in strutture private in particolare per l’odontoiatria, con quasi il 90% dei cittadini che vi ha svolto estrazioni dentarie semplici, con anestesia; per la ginecologia (57%), la riabilitazione motoria in motuleso semplice (36%) e le visite ortopediche (34,4%). Ha fatto ricorso all’intramoenia il 30,7% degli intervistati per la riabilitazione motoria in motuleso semplice, il 14,7% per una ecografia all’addome completo. Il 38% degli italiani ha aumentato negli ultimi anni il ricorso al privato per la riabilitazione motoria, oltre il 35% per la colonscopia, il 34% per le visite ortopediche; per l’intramoenia invece il 23,3% degli intervistati ha aumentato il ricorso per la riabilitazione motoria, oltre il 17% per l’ecografia all’addome completo, il 16,7% per le visite ortopediche. Dal Rapporto emerge anche che gli italiani giudicano negativamente le manovre di finanza pubblica sulla sanità, non solo perché hanno tagliato i servizi e ridotto la qualità (61%), o perché hanno accentuato le differenze di copertura tra regioni, ceti sociali (73%), ma perché hanno puntato troppo sui tagli e poco sulla ricerca di nuove fonti di finanziamento, dai fondi sanitari alle polizze malattie (67%).