di Gianni Amodeo
“Questo povero grida e il Signore lo ascolta”. E’ la frase del Salmista, che fa da chiave di volta e lievito ispiratore delle molteplici iniziative- dalle veglie di preghiera alla raccolta di viveri e medicinali, dalle manifestazioni di arte varia e sensibilizzazione socio-culturale ai presidi sanitari ed assistenziali e via proseguendo- che compongono la trama della seconda edizione della Giornata mondiale dei poveri, istituita lo scorso anno da Papa Francesco, ricapitolando i temi focali dell’appena concluso Giubileo della Misericordia, per identificarne e ravvivare compiutamente lo spirito e valori nella pratica della quotidianità dell’agire personale e nelle relazioni sociali. E’ la Giornata di domenica 18 novembre che vuole costituire il punto di catalizzazione e riflessione sulla condizione di quanti versano nell’emarginazione, nel bisogno, nella sofferenza e nella solitudine, quelli che comunemente sono chiamati “poveri” con quella laconica e generica denominazione che spesso risulta persino fastidiosa da pronunciare. I reietti. Gli esclusi. I senza voce. I calpestati dalla violenza che ha molteplici volti, ora visibili, ora mascherati d’ipocrisia.
Le parole del Salmista si integrano e completano di senso con i profili del logo connotativo della Giornata, nel quale spicca la stilizzazione di una Porta aperta, sulla cui soglia si trovano due persone che tendono la mano l’una verso l’altra. E’ la reciprocità che corre come fluido d’empatia, tra chi chiede aiuto e chi l’offre. Ed è proprio Papa Francesco – nella Memoria diffusa il 13 giugno scorso nella ricorrenza liturgica dedicata a Sant’Antonio da Padova, per annunciare la Giornata– a dare risalto alla simbologia in cui si dispiega il valore della reciprocità, che dà salvezza nella condivisione dell’umana condizione. “ Benedette – scrive- le mani che si aprono ad accogliere e a soccorrere i poveri; sono mani che portano speranza. Benedette le mani che superano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di consolazione sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in cambio, senza “se“, senza “però”, senza “forse“: sono mani che fanno scendere sui fratelli la benedizione di Dio “.
Gridare, rispondere, liberare. La povertà non è cercata, ma creata dagli egoismi
La pregnanza dei significati con cui si dipana la frase del Salmista – evidenzia Papa Francesco – fermenta e alita nella stretta correlazione che corre tra i verbi gridare – rispondere– liberare. Un percorso di scoperta dell’umanità la più umanizzante possibile, affermando la dignità della persona nella pienezza del suo valore.
Il gridare è proprio dei poveri, che vivono la sofferenza della marginalità e della deprivazione, nell’angusto perimetro della solitudine che logora e consuma lo spirito e le energie fisiche. E’ il gridare che squarcia e lacera i silenzi, invoca ascolto, comprensione, speranza e interpella tutti per attento esame di sé e della propria coscienza, sollecitandoli “a fare il possibile nei limiti dell’umano” , per liberare i poveri dalla loro condizione, promuovendone la dimensione umana nella società che tutela e propugna i valori della vita senza alcuna discriminazione
E’ il gridare, a cui il Signore non solo presta ascolto, ma soprattutto risponde, partecipando della condizione dei poveri, per rendere loro giustizia, aiutandoli a riprendere la vita con dignità. E’ la risposta che impegna e coinvolge il popolo dei credenti e quanti di riconoscono negli ideali del Vangelo, per la realizzazione delle opere concrete per la pace, la convivenza e la giustizia, senza alcun forma di protagonismo. E’ la risposta che ogni cristiano e ogni comunità è in grado di dare appunto “nei limiti dell’umano”. E’ l’itinerario della condivisione interpersonale che fa restituire dignità ai poveri. E’ la dignità che equivale alla libertà. E sul punto la riflessione di Papa Francesco nella Memoria liturgica di giugno scorso per l’indizione della Giornata è netta e marcata. “La povertà– scrive- non è cercata, ma creata dall’egoismo, dalla superbia, dall’avidità e dall’ingiustizia”. L’approdo alla libertà dalla condizione di povertà imposta è dato dallo scacco a ogni forma di egoismo e alle strutture dei particolarismi oppressivi della dignità degli uomini e dei popoli.