a cura di don Riccardo Pecchia
In questa domenica leggiamo le beatitudini pronunciate, da Gesù, sul monte. La beatitudine che il vangelo proclama suppone diverse dimensioni. E’ una felicità al presente in quanto è legata alla vicinanza del regno: le beatitudini, prima di presentare dei valori su cui impegnarsi, proclamano la vicinanza di Dio. E’ questo il significato della prima beatitudine: i poveri sono beati perché sono oggetto della preferenza di Dio. Gesù, parla di Dio, della sua bontà verso il povero; sapere questo è causa di grande gioia, già nel presente, per chi, povero, afflitto, perseguitato, ha sperimentato l’ostilità degli uomini. La beatitudine annunciata da Gesù suppone anche che si guardi a lui, alla sua esperienza personale, per comprenderla. Dietro le beatitudini, c’è la figura di Gesù; se hanno un senso le beatitudini, è perché nella persona di Gesù esse si sono realizzate pienamente. Il Cristiano non potrebbe proprio credere alla felicità che esse promettono, se non potesse fondarsi su questa convinzione. Ma è chiaro anche che la felicità promessa ha una componente futura, dato che molte beatitudini sono espresse al futuro: “saranno saziati… troveranno misericordia…”. Esse promettono un futuro di pienezza, supponendo così che questa gioia del Vangelo, pur presente per chi crede, troverà la sua pienezza soltanto nel futuro che Dio ci prepara. Intanto nel presente il Cristiano occorre che viva certi valori: valori che sono per lo più contrari alla mentalità comune, ma che sono presentati come la proposta nuova di Gesù. Dio ha scelto di stare dalla parte dei poveri, dei miti, di chi lavora per la pace…
Matteo presenta le beatitudine come la magna charta, il simbolo in cui il cristiano si riconosce. Perciò anche la composizione dell’insieme è curata: prima ne vengono otto formulate alla terza persona plurale: “Beati i … perché essi …”; poi la nona conclude variando la forma: “Beate voi…” (seconda persone plurale). La prima e l’ottava terminano con la promessa del “regno dei cieli”: aprire e chiudere con lo stesso tema è uno modo per dirne l’importanza. Non si comprendono le beatitudini se non sullo sfondo del “regno”. Matteo lo ha fatto capire molto bene in precedenza, introducendo il ministero di Gesù con le parole: “Gesù andava intorno insegnando e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e infermità”. La pagina delle beatitudini viene da tutti sentita come una pagina tanto straordinaria quando utopica e irrealizzabile; ma per il modo stesso di collocarla nell’insieme, Matteo insegna che Gesù annuncia la venuta di un’epoca nuova per l’uomo, perché l’uomo viene concessa una grazia nuova. Come segno di tale novità Gesù compirà i suoi miracoli, ma il miracolo più grande lo compie la grazia, rendendo l’uomo: povero in spirito, mite, misericordioso, puro di cuore, capace di operare per la pace e la giustizia, capace di sperare in mezzo alle sofferenza.
Le beatitudini intendono dare un progetto nuovo di uomo, tale che non rinnovi il cuore e le mani. Alcune infatti puntano più sul “fare”, sulle “mani”: beati i misericordiosi, beati gli operatori di pace; altre (la maggior parte) puntano innanzitutto sul “cuore”. Si sente l’eco del binomio ebraico con il quale si esprime l’ideale del giusto, dell’uomo che può presentarsi nella casa di Dio: per salire la montagna del signore occorre avere “mani innocenti e cuore puro”.