III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – Dal Vangelo secondo Matteo 11,2-12
Subito dopo il passo in cui Gesù invia i suoi discepoli (Mt 10,5-11,1) san Matteo pone questa domanda che ci tocca tanto – come ha chiaramente toccato anche la prima comunità e colui al quale viene qui fatta pronunciare: Non vi sono numerosi argomenti contro Gesù e il suo messaggio? La risposta alla domanda che pongono i discepoli di Giovanni non è senza equivoci. Vi si dice chiaramente: non esiste una “prova” da presentare. Eppure un colpo d’occhio sui capitoli precedenti del Vangelo di san Matteo mostra bene che la lunga lista di guarigioni e miracoli non è stata redatta a caso. Quando la si paragona attentamente a ciò che Gesù fa rispondere a Giovanni, è possibile trovare, nei precedenti testi del Vangelo, almeno un esempio per ogni dichiarazione (i ciechi vedono, gli storpi camminano…). Quando Gesù dice questo, le sue parole fanno pensare alle parole di un profeta. Bisogna che diventi manifesto che in Gesù si compiono le speranze passate anche se molte cose restano ancora incompiute. Non tutti i malati sono stati guariti, non tutto è diventato buono. Ecco perché si legge in conclusione questo ammonimento: “Felice colui che non abbandonerà la fede in me (che non si scandalizza di me)”. Quanto a coloro ai quali questo non basta, Gesù domanda loro che cosa di fatto sono venuti a vedere. Poiché di persone vestite bene se ne trovano dappertutto. Ma se è un profeta che volevano vedere, l’hanno visto! Hanno avuto ragione di andare a trovare Giovanni Battista, poiché la legge e i profeti lo avevano designato. Eppure la gente lo ha seguito come farebbero dei bambini che ballano sulla piazza del mercato senza preoccuparsi di sapere chi suona il flauto. La parabola che segue, e che non fa parte del nostro testo di oggi, dà una risposta che ci illumina: di fatto gli uomini non sanno quello che vogliono. Essi corrono dietro a chiunque prometta loro del sensazionale.