La delicatezza fiabesca del titolo – La casa delle fate – non deve indurre a supporre un contenuto di fantasia. Anzi. Cinzia Marulli ci conduce, per esperienza diretta, in un luogo reale e crudo, poco frequentato dai mezzi di informazione: una casa di riposo. Lì si consuma la vecchiaia, una parte critica del percorso di chi la vive ma anche dei familiari. Forte diventa il bisogno di rinforzare gli affetti e la poesia si è rivelata carezza, contatto, ricordo, segno e graffio vitale, per non dimenticare. La forma espressiva dialogante, lineare e schietta rende il lettore partecipe del cammino verso l’unica direzione certa, complice nelle paure, anche nei rimorsi, per un viaggio
Si ferma il tempo nel percorso che m’avvicina in questo luogo risiedi qui – dove la vita passa nell’attesa. Il candore della tua pelle m’accarezza quella pelle tornata bambina ora che invochi me come fossi io tua madre.
Nota dell’autrice
Per circa due anni ho portato avanti un laboratorio di poesia all’interno di una casa di riposo per donne anziane. Un’esperienza che mi ha fatto conoscere da vicino la condizione della terza età, forse quella meno privilegiata, più afflitta da problemi fisici e di malattia. Le case di riposo sono luoghi dove esistono situazioni di solitudine se non addirittura di abbandono da parte di figli e parenti lontani, ma anche di figli costretti a causa degli impegni lavorativi a “ricoverare” i propri genitori non più autosufficienti o totalmente invalidi. Sono situazioni complesse, ingiudicabili, che evidenziano una condizione difficile che andrebbe gestita con grande umanità. L’idea di questo laboratorio è nata spontanea dopo un breve ricovero di mia madre presso una di queste strutture, ricovero al quale sono dovuta ricorrere perché nessuna clinica riabilitativa pubblica aveva accettato di curarla a seguito di una frattura gravissima. In questo luogo, che mia madre stessa chiamò “la casa delle fate”, ho potuto offrirle una riabilitazione che l’ha portata a camminare di nuovo, piccoli passi, ma dall’enorme significato per una persona che si ritrova a vivere con un corpo morto e alla quale sono preclusi i più piccoli e umili gesti della quotidianità. Pur essendo un luogo estraneo era comunque una struttura buona perché consentiva alle famiglie di rimanere accanto ai propri anziani, di collaborare fattivamente nella gestione e di rimanere anche a dormire insieme a loro. Durante le mie visite ho iniziato, quasi per gioco, a leggere alle signore ospiti delle poesie. Si è aperto un mondo. La loro risposta è stata eccezionale. Mi attendevano ogni giorno pronte ad ascoltare i testi che avevo preparato per loro per poi lasciarsi andare ai ricordi, alle chiacchiere e perfino alle risate. Il risultato nel tempo è che tutte avevano trovato un nuovo stimolo alla vita, si sentivano partecipi e attive di qualcosa che potevano fare nonostante la loro condizione fisica. Ovviamente il livello culturale era molto vario, ma non c’era una competizione di bravura e di conoscenza. La poesia le aveva rese nuovamente vive e loro erano felici. Ho continuato questo laboratorio anche dopo la morte di mia madre, che sopraggiunse a causa dei suoi problemi cardiaci, e sono stata costretta a terminarlo perché la struttura chiuse non avendo ricevuto più i finanziamenti necessari. Fu una cosa molto triste. Era un luogo che funzionava. Era la casa delle fate. Ho scritto questa raccolta per ricordare, perché penso che occuparsi dei nostri anziani sia un dovere ma anche e soprattutto un diritto e come tale deve essere riconosciuto e sostenuto. Non è un libro di denuncia e tanto meno vuole essere autobiografico, ma ha l’intento pretenzioso di parlare di qualcosa che in genere è taciuto: la vecchiaia. Credo che ci riguardi tutti ed è importante prendere coscienza di questa condizione perché quello che c’è da migliorare si può migliorare, a volte veramente con poco. Perché dunque la poesia? Perché è il mio linguaggio, Perché scava nell’oltre e nelle coscienze. Perché, come ha scritto Borges ne L’invenzione della Poesia, non esiste argomento precluso per essa. Perché credo fermamente che la poesia possa cambiare le cose e le mie fate me lo hanno dimostrato. Una cosa inutile come la poesia è stata di un’utilità incredibile davanti al cedere della vita. E Anna, Maria, Giovanna, Francesca, Vincenzina, Luisa, Anna Rita, Rosalba e Ludovica me lo hanno provato con i lori occhi tornati a splendere, sia pure adagiati su una sedia a rotelle e lontani dalle loro case. Dedico, dunque, questi miei scritti a tutti noi che diventeremo vecchi e alle nostre famiglie affinché si ricordino che l’amore è importante e, sul finire della vita, diventa assolutamente necessario.
BIOGRAFIA: Cinzia Marulli è nata a Roma il 6 marzo 1965 dove tuttora risiede. Ha studiato all’università «La Sapienza» di Roma sino-indologia e sta traducendo alcuni tra i principali poeti cinesi contemporanei e in particolare i poeti brumosi (Bei Dao, Mang Ke e altri). È curatrice della collezione di quaderni di poesia Le gemme (Ed. Progetto Cultura) e promotrice culturale di rassegne di poesia. Ha partecipato a vari festival internazionali di poesia all’estero e le sue poesie sono state tradotte in cinese, greco, inglese e spagnolo e pubblicate in Cina, Bolivia, Colombia, Ecuador, Messico e Spagna. Ha rappresentato l’Italia in diversi Festival di Poesia internazionali (America Latina e Lussemburgo). In collaborazione con il Gatestudio Records, ha realizzato progetti di videoarte. Nel 2016 è la vincitrice della 1^ edizione del premio di Poesia Casa Museo Alda Merini per cui, nel 2017, darà alle stampe La casa delle fate. Pubblicazioni: Agave (LietoColle, 2011); Las Mantas de Dios – Le coperte di Dio (Ed. Progetto Cultura, 2013) Percorsi (La Vita Felice, 2016)