di Sebastiano Gaglione
L’ode “Il cinque maggio” fu scritta da Manzoni con l’intento di rievocare la figura del generale francese Napoleone Bonaparte, partendo dall’evento della sua morte, avvenuta nella lontana isola di Sant’Elena il 5 maggio 1821, che provocò sgomento in tutti perchè la sua maestosa figura ha retto le sorti di un’intera epoca. Se la sua gloria sia meritata oppure no, dice il poeta, è ancora presto per dirla; certamente però non è stato un uomo come gli altri. I temi essenziali sono quelli della storia di una carriera a dir poco prodigiosa, fatta di leggendarie imprese, alterne fortune e infine l’umiliazione di un esilio definitivo: una luminosa parabola spezzata da una irreparabile caduta, per ritrovare nel dolore attraverso la fede, la via giusta da intraprendere per poter aspirare alla salvezza e alla pace. La rievocazione si svolge intorno due temi centrali: la grandezza di Napoleone non è che un pallido riflesso della maestosità di Dio a cui devono essere ricondotte le vicende umane; la storia infatti con il suo travaglio inesplicabile degli eventi, trova un senso solo se vista nella prospettiva di un misterioso disegno provvidenziale e inoltre la sconfitta e la sofferenza diventano, se cristianamente vissute, un’occasione di riscatto. Il componimento appartiene, in un certo senso ad un genere tradizionale: la poesia d’occasione celebrativa di un eroe, ma è un eroe che trova la più profonda autenticità, quando è spogliato dal potere e dalla gloria. Alle condizioni di un uomo comune, una sorta di “naufrago” della storia, nonché di un oppressore che diventa l’oppresso, oppresso da se stesso dal suo passato e sopratutto dalla sua sconfitta. Il Manzoni è geniale nel rendere la stratosferica grandezza del generale in una chiave semplice, in due “sole” parole che rendono tutto ciò che c’è da rendere (ovvero la grandezza di Napoleone). “Ei fu” (il suo nome, infatti, non sarà mai citato espressamente per l’intera ode) raccontandone le varie glorie per poi porsi un interrogativo di fondamentale importanza al verso 31: “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”. A partire dal verso 55 invece il Manzoni pone in luce l’inganno dell’eroismo e della dinamica storica. Il testo è caratterizzato da un ritmo impetuoso e calante ed il tempo dominante è il passato remoto, segnale di una realtà “compiuta” e già “tramontata” e il presente che fa riferimento all’effettivo tempo eterno della fede e di Dio. Per quanto riguarda le figure retoriche, sono presenti: similitudini (verso. 15), metafore ( verso.4), enjambements ( v 6-7, 9—10, 21-22, 33-34), anastrofe (v. 12,17), iperbati (vv.13-14, 67,68,77-78), anafore (vv.12,17), apostrofi (vv.97-99), ossimoro (v.37), antitesi (v. 57), perifrasi (v.8).
In definitiva in questa ode è dominante il contrasto presente in Manzoni, il quale è combattuto tra l’esaltare le gesta del generale che tanto stima e il renderle vane all’aldilà. Parte integrante del componimento è l’umanità di Napoleone, raccontato tra le sue enormi gesta e le sue ossessive angosce. È tuttavia strepitoso e avvincente come l’autore reputi, nonostante tutto, Napoleone più di un semplice uomo: un individuo che si pone al di sopra di tutti gli altri uomini comuni,
ma che, nonostante ciò è del tutto impotente contro la grandezza irraggiungibile di Chi ha di fronte: L’Onnipotente, Dio.