di Maria Rosaria D’Acierno
Chiunque sia mosso dal desiderio di godere di un paesaggio, di arricchire il proprio spirito con la vista dell’infinità del mare, di respirare l’aria intrisa di erba fresca e di fiori, di restare abbagliato alla vista di un papavero, di provare un brivido vitale di fronte alla nascita di una nuova creatura, di piegarsi accasciato di fronte alla morte, di inorridire davanti alle calamità naturali, o tremare per atti brutali compiuti da mano umana, laico o credente che sia attesta la sua capacità di riconoscere un essere superiore con il quale cerca o di confrontarsi o di trarre da esso conforto. Questo significa che laici o credenti sono tutti esseri umani che lottano per la pace, per la sopravvivenza, per la vita intesa nel pieno senso del termine. Quindi, qualunque sia l’origine della religione divina (Hegel, Schleiermacher, Bergson, ecc. ) o umana (Hobbes, Hume, Voltaire, Freud, Malinowsky, ecc.), oggi possiamo con certezza affermare che la religione unisce sotto lo stesso manto non una sola comunità di credenti, ma il mondo intero in cerca di forza e di speranza. La funzione sociale della religione (Durkheim, Radcliffe-Brown), rispetto a quella veritativa (Hamann, Herder, Hegel, Gentile) e morale (Kant), alla luce degli eventi che ogni giorno Papa Francesco dona all’umanità intera, diventa primaria, poiché riesce ad unire popoli di ogni razza e di ogni religione. La funzione sociale, anzi, mette in evidenza che la purezza d’animo e la sofferenza diventano il fulcro che ci caratterizza come uomini e donne. I viaggi di Papa Francesco sono all’insegna del martirio, servono a infondere fiducia nella vita, servono ad aprire alla speranza e, quindi, anche al sorriso. I bagni di folla che lo accolgono sono composti da tanta gente di diverse opinioni, che, comunque, non riesce a sottrarsi al potere della sua fede nella vita. Lui fa, agisce, non predica e non emette sermoni altisonanti, Lui parla con la gente e tende la mano a tutti. Lui si muove, va in un solo giorno all’isola di Lesbo, per piangere con tutti noi sulle sventure umane e sulla catastrofe immane che ha colpito il popolo musulmano. E’ Lui il padre di tutti noi che prende di fatto alcuni profughi e li porta con sé sull’aereo in Vaticano, e li accoglie e li aiuta. Nel suo viaggio apostolico, nel suo viaggio triste, mostra la sofferenza di tutti noi quando tende l’abbraccio ai profughi (3mila) nel campo ‘carcere’ chiamato Moira refugee camp, situato sulla collina dell’isola soprannominata ‘collina salvagente.’ Assieme al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e all’Arcivescovo di Atene Hieronymos hanno firmato una intesa che è stata discussa nel I Vertice Umanitario che si è tenuto ad Istanbul nel mese di maggio. Chi riesce a piangere davanti a persone estranee? Si, piangono i profughi prostrati ai piedi di Papa Francesco, perché Lui è il Padre nostro, il vero Padre che aiuta materialmente e poi benedice. Lui non detta leggi come fanno i politici che riempiono i loro discorsi di: “si deve fare così, si deve fare colì”. Lui abbatte quelle barriere che creano solo divisioni nella speranza di offrire tutela, e “invece portano guerre.” Lui le abbatte tutte le barriere, sottoponendosi alla fatica dei suoi viaggi, ma ancora di più dando aiuto materiale e non solo morale ai profughi che soffrono violenze e umiliazioni inimmaginabili, che esseri non umani scagliano contro di loro. Lui non dispensa parole, Lui dispensa fatti concreti, Lui si reca inorridito vicino al mare nostrum, che non è più sicuro ma è diventato luogo di morte e di umiliazioni: il cimitero nostrum.
Maria Rosaria D’Acierno professore di Lingue e Letterature straniere università di Napoli