La rubrica di diritto “Salvis Iuribus – Il diritto alla portata di tutti” si avvarrà di un nuovo collaboratore, Davide Fricchione, laureando in Giurisprudenza presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche (Scuola di Giurisprudenza) dell’Università degli Studi di Salerno . Ecco il suo primo contributo.
L’entrata in vigore del D.lgs.231/2001 ha costituito senz’altro un evento di spiccato interesse giuridico-culturale per l’intero panorama scientifico italiano ed internazionale. Da circa 16 anni in poi soggetti, dotati e non, di personalità giuridica si sono ritrovati a ricoprire il ruolo di coprotagonisti in vicende di rilevanza processuale, strumentali alla repressione di fattispecie contra iure. Ha suscitato infatti un certo stupore vedere come, di fianco a soggetti animati, finissero sul banco degli imputati persino soggetti inanimati: basti pensare alle parole del Cordero «sarebbe un finto processo se il pubblico ministero perseguisse fantasmi intellettuali, diavoli ovvero santi, cose inanimate, bestie, persone giuridiche, enti collettivi, cadaveri. Bisogna che l’imputazione evochi una persona fisica, esista o no in carne ed ossa. Stiamo parlando dei presupposti (a parte rei) mancando i quali il processo sarebbe pura apparenza», per immaginare la inverosimiglianza di tale dimensione giuridico legale alla realtà processuale odierna. In verità bisognerebbe interrogarsi sull’origine del sistema della responsabilità in esame per capire quanto il modello statunitense dei “compliance programs” abbia influito su di esso. L’oggetto del rimprovero che si muove alla persona giuridica sta nel fatto di non aver adottato e implementato modelli di organizzazione idonei a prevenire efficacemente la commissione di certi reati. La responsabilità della societas è diretta, autonoma ed eventualmente concorrente con quella dell’autore, inoltre, al contempo, personale e intrasmissibile, stante la regola posta dall’art. 27 d.lgs. 231, ai sensi del quale “dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio o con il fondo comune”. La norma, evidentemente, è stata dettata dalla preoccupazione di evitare che di tale obbligazione «possano essere chiamati a rispondere anche i singoli soci o associati, secondo la disciplina prevista in materia di rapporti obbligatori dell’ente (si pensi, tipicamente, ai soci illimitatamente responsabili di società personali). Si tratta di una responsabilità diretta, perché non sussidiaria ed alternativa rispetto a quella dell’autore (persona fisica); ed autonoma, perché non presuppone l’accertamento e l’eventuale condanna del reato presupposto commesso dalla persona fisica. La disposizione nasce, dunque, dalla realistica presa d’atto del modo in cui sono organizzate le imprese di medio-grandi dimensioni: la complessità e l’opacità delle strutture organizzative possono rendere oltremodo difficoltoso, quando non addirittura impossibile, l’accertamento delle responsabilità individuali. In certi casi, ancor prima, appare problematica la configurabilità, in capo ad una stessa persona fisica, di tutti gli elementi costitutivi del reato (è il fenomeno della c.d. irresponsabilità organizzata). Una norma, quindi, assai opportuna e addirittura essenziale per garantire al sistema un grado minimo e comprensibile di effettività, che consenta di superare le strettoie e i rigidi schematismi di una responsabilità di riflesso, senza la quale, probabilmente, la minaccia di sanzioni nei confronti delle persone giuridiche sarebbe condannata a restare, non poche volte, lettera morta, o comunque ancorata al vetusto brocardo latino “societas delinquere non potest”, oramai superato.