di Gennaro Iasevoli
Quando si usa l’alfabeto c’è bisogno di conoscere le parole, la grammatica e la sintassi per esprimere un concetto e poi c’è la limitazione dovuta al fatto che ogni popolo ha un suo alfabeto ed una sua lingua. Con le immagini si supera tutto questo, pertanto mettendo un dito su una sola faccina, si può comunicare un intero concetto che potranno capire in un attimo tutte le persone del mondo. Dico anche che non è una grande scoperta, ma soltanto il ritorno ai metodi usati nell’antichità dagli uomini primitivi e poi elaborati, per esempio, dagli antichi egiziani che usavano le immagini al posto delle parole e dei concetti. Il vantaggio delle immagini sta appunto nel fatto che ogni essere umano può interpretarle anche senza conoscenze linguistiche. I simboli, le faccine, emoticon smile, emoji e stati, utilizzati su Whatsapp, su Facebook e quindi sui social media e anche sui social network, semplificano al massimo l’espressione del pensiero e consentono la comunicazione immediata trans-linguitica: quindi hanno il vantaggio di bypassare la conoscenza linguistica. Anche bambini di quattro o cinque anni comunicano rappresentando con faccine le persone, gli animali, il cibo, le bevande, le cose, i luoghi, le attività, le professioni, lo stato personale e le intenzioni. A questo punto il commento della maggior parte dei docenti e delle persone che hanno studiato tanto nella scuola ancora vigente, ancorata all’alfabeto tradizionale, è generalmente aspro e categorico e si sintetizza in poche battute: “si rischia l’ignoranza totale”; “si perde la conoscenza dei tesori culturali”; “si perde la capacità di utilizzare la penna”; “ questi ragazzi non si rendono conto che per costruire il computer tanti ingegneri hanno pazientemente studiato l’italiano, il latino, il greco, la matematica, la fisica, la chimica, il disegno, la storia, la geografia, le lingue straniere, ecc.”. Questi ragazzi un giorno sapranno solo chattare e finiranno per infoltire a dismisura il numero dei nuovi poveri”. In questi termini si concretizza l’immane pericolo del collasso della scuola dal basso, cioè per la disaffezione dei ragazzi verso l’alfabetizzazione funzionale – scuola-università – che assicura tuttora l’accesso alle attuali professioni e mantiene alto il livello della ricerca scientifica e quindi assicura il controllo della qualità della vita.
C’è effettivamente il grande rischio che il vantaggio offerto da un telefonino, alla semplificazione della comunicazione, con migliaia di app e di immagini, faccia precipitare tanti ragazzi fragili, ingenui e spesso gioiosamente illusi, nel buio culturale da cui a fatica è uscito l’uomo primitivo.
La maggior parte degli alunni si sveglia al mattino con poca voglia di andare a scuola e rifiuta psicologicamente il concetto di “obbligo scolastico”, quasi fosse un ostacolo alla libertà di vivere alla sua maniera naturale. I genitori lo sanno benissimo ed anche i docenti delle primarie e delle secondarie osservano che oggi nelle aule bisogna lavorare moltissimo al fine di ottenere, da parte degli alunni, una spontanea accettazione della vita scolastica, intesa come scoperta del mondo e della complessità delle regole da rispettare.
Per il passato avveniva che molti ragazzi, mentre erano in aula, chiedevano di andare in bagno continuamente per sottrarsi alle esercitazioni ed all’attenzione forzata. Questo comportamento ha caratterizzato per anni la condotta dei ragazzi svogliati, i quali hanno raggiunto alla fine soltanto scarsissimi risultati. Oggi i nuovi allievi – digitali – non chiedono più tanto di andare in bagno, ma siedono nei banchi distrattamente, perché interessati alla propria rete e quindi allo scambio di immagini con gli smartphone. Buona parte degli alunni di oggi percepisce la scuola come luogo per condividere anche i comportamenti più avversati dai docenti, perché volti al rifornimento di sostanze psicotrope o allo scambio di immagini e filmati privati vietati.
Alcuni suggerimenti che vengono dalla base dei docenti e dalle famiglie _ sono sicuramente ispirati all’obiettivo più alto da raggiungere per far fronte alle necessità del mondo della scienza, delle professioni e dell’industria, ma si infrangono contro le grosse contraddizioni che hanno accompagnato ed accompagneranno ancora la scuola dell’obbligo italiana. A questo punto la sfida per migliorare la scuola con mille strumenti e contenuti pedagogici specialistici si perde per la strada, con buona pace di quelli che propongono sempre nuove e sempre più complesse linee operative e fantastiche proposte normative in favore dell’obbligo scolastico. Ma nelle aule scolastiche spesso solo un terzo degli allievi, oppure meno, è interessato alla lezione, e quando lo vai a raccontare ai genitori devi faticare a convincerli, perché molti di essi purtroppo intendono difendere l’operato dei figli sperando di evitarne le costose bocciature. Alla fine i docenti, dal canto loro, sono costretti a lavorare moltissimo e sotto stress per attirare l’attenzione degli allievi, per evitare le loro assenze, combattendo una battaglia impari contro l’attrazione dei telefonini e contro l’assunzione di sostanze stupefacenti. A questo punto non so quanto serva parlare ancora, alla vecchia maniera, di scuola dell’obbligo a chi vive mentalmente nel mondo dei videogiochi oppure viene precocemente blandito dalle sostanze psicotrope. Se nel passato gli analfabeti ed i loro figli avevano uno spontaneo interesse verso la scuola dell’obbligo per affrancarsi dalla loro condizione di esclusione, oggi invece i ragazzi già da piccoli senza conoscere le lettere, le parole ed i numeri, riescono a chiedere ed a comunicare attraverso la “digitazione delle piccole icone” che sintetizzano le cose della vita ed i bisogni vitali primari. Tutto ciò distrugge l’interesse verso i principi operativi della lettura e della scrittura e riduce l’apprendimento vitale alla digitazione di immagini preposte ai distributori di vivande, biglietterie, porte automatiche e messaggerie telefoniche. La necessità irrinunciabile di un’alfabetizzazione scientifica non è più sentita da quanti passano il tempo premendo il dito su quelle spiritose faccine gialle, disponibili con mille espressioni ironiche. Parlare, dopo tutto questo, ancora della “scuola dell’obbligo”, senza “un drastico ripensamento contenutistico e strutturale”, diventa oggi, di giorno in giorno, un compito gravoso e pieno di interrogativi.