Subito, un summit tra amministratori, questure, prefetture, esperti della materia, uffici di parità. Avviamo una task force sui territori. Apriamo i consultori familiari, gestiamo le sofferenze, prendiamoci cura del malessere delle persone. Riprendiamo le campagne di prevenzione, usciamo fuori da vecchi schemi arcaici di considerare la donna “un oggetto”. Smettiamola con canoni di bellezza, con pubblicità accattivanti, con linguaggi discriminanti-distruttivi legati all’aspetto fisico e alla professionalità delle persone, di usare il potere degli uomini per gestire selezioni al limite della decenza per l’accesso al mondo del lavoro.
Siamo passate dallo stare sotto una campana di vetro, a soffitti di cristallo, a necrologi e casse da morti.
Siamo stufi di sentire ancora di storie di professori universitari e datori che in cambio di esami e lavoro ricattano studentesse e lavoratrici tenute sotto lo scacco da dinamiche sessiste.
La violenza non gestita diventa incontrollabile, su troppi fronti, rischiamo di trovarci solitarie in battaglie perse, sin dall’inizio. Il problema va visto a 360 gradi: famiglia, scuola, lavoro e giustizia.
Nell’essere, uomo e donna, abbiamo capito che la parità è una questione di cambiamenti drastici sul pensiero e sugli atteggiamenti, siamo dotati di un bagaglio di sopravvivenza e di contrasto alla violenza.
No?! Perché si siamo dimenticati di attivare i servizi di accompagnamento alla vita per gradi, per situazioni e per emergenze. Le priorità sono diventate il fine, a discapito, dei bisogni. Standard e criteri non rispondono a un bel niente, fuori ogni logica vitale e valoriale della persona. La situazione sta sfuggendo di mano; Melania è morta invano se il marito è fuori, dopo dieci anni per buona condotta. Mi dite che giustizia e che messaggi facciamo passare ai deliquenti, presunti e in libertà. Siamo impotenti, tutti se, non si fa piazza pulita dei vagabondi impuniti. Un uomo che fa violenza merita la galera, tutta, senza sconti, l’uomo che cancella l’identità personale, merita la galera, l’uomo che uccide, merita la galera.
I fatti si ripetono troppo frequentemente per giustificare, per temporeggiare; mentre noi discutiamo, lì fuori è l’inferno.
Anche una donna violentata, stuprata e uccisa porta con sé i problemi non risolti. Sono vent’anni che vedo i soliti progetti finire sul nascere. Bisogna continuare, essere pedanti, sensibilizzare, uomini e donne, per essere migliori, come genitori, coppia, figli, fidanzati e cittadini responsabili e pronti alla vita.
Si inizia dai bambini e dalle bambine, prima che diventino adulti.
La situazione è fuori controllo, violenze fisiche e verbali sono all’ordine del giorno. I numeri parlano. È davvero scioccante, non definire regole e azioni più persuasive, sull’aspetto penale e comportamentale, nel far desistere persino il pensiero da commettere qualsiasi reato. La certezza delle pene il deterrente, ma non basta.
L’immane tragedia tocca a monte, l’educazione.
Primo passo necessario prendere fare prevenzione con esperti nelle scuole, nei luoghi di lavoro, attivare politiche serie per le donne e tutelare la loro vita e garantire l’autonomia, far diventare prassi consolidata, nelle scuole le figure di contatto (sociologi, psicologi educatori), i rapporti interpersonali sono mutevoli e suscettibili di insidie.
Fino ad allora, è richiesto un grande sforzo comunitario e senso di responsabilità.
A quale prezzo e conquista riteniamo il problema davvero risolto?