Si è concluso quest’estate il ciclo di libri di Carlo Pastore, ex presidente della sezione CAI di Piedimonte Matese e marito di Giulia D’Angerio, di cui già è stato parlato in passato sulle pagine di Bassa Irpinia (Punta Giulia, la cima più alta della Campania; Un libro di poesie per Punta Giulia).
Si riporta integralmente l’introduzione all’ultimo libro di Carlo, a cura di Valentina Guerriero.
Un omaggio a chi ha dedicato la propria vita alla natura e alla sua salvaguardia in modo sincero e disinteressato, con l’augurio che sempre più persone si diano da fare per preservare il nostro territorio.
Novembre-Dicembre, i mesi più freddi dell’anno
Ho conosciuto Carlo Pastore nell’inverno del 2013. Ci accompagnò ad una salita sul Mutria innevato con ciaspole. Il cielo era di un blu spiazzante che faceva contrasto con la neve che aveva ricoperto ogni cosa. Ciò che mi colpì, quando arrivammo in cima, è che lui tirò fuori dallo zaino un taccuino, un foglio, o qualcosa di simile, e declamò una poesia. Mangiammo dei mandarini, e quelle bucce arancioni – anche queste straordinariamente brillanti – spiccavano sulla neve, sulle nostre mani allo stesso tempo bianche. Sembrava quel giorno che ogni cosa stesse giocando al gioco dei contrasti. Le mettemmo da parte, quelle bucce, di nuovo nello zaino, dicendo che avrebbero turbato il candore che ci circondava. I poeti sono attenti ai dettagli. E questa cosa talvolta può essere un problema, perché vuol dire non accettare tutto ciò che può turbare la bellezza.
Credo che un poeta lo sia indipendentemente da ciò che scrive. Per rubare la frase di un famoso poeta americano, Robert Frost (tra l’altro, uno di quei “veri” poeti in vita, i cui anni furono disseminati di disgrazie): “essere un poeta è una condizione, non una professione”. Un poeta lo riconosci subito, poiché si muove in modo diverso, vede con occhi diversi. Non è legato all’opinione comune. Il poeta continua a scrivere, a vivere in un determinato modo, indipendentemente dal fatto di avere una platea oppure no.
Il matrimonio tra Carlo Pastore e Giulia d’Angerio, definiti da Teresio Valsesia (ex vice presidente del CAI nazionale e ideatore del sentiero Camminaitalia) come “i due custodi del Matese“, mi ha sempre colpito. È inevitabile, ci sono alcune storie che hanno più fascino di altre. Sono avvolte da un’aura, nel loro riuscire a discostarsi dalla banalità quotidiana. Il poeta riesce a costruire un’esistenza diversa, a vivere come un poeta, in ogni istante: non è di certo un poeta solo per ciò che scrive.
In questo ultimo volume, “Novembre-Dicembre“, sono contenute perlopiù le ultime poesie di Carlo, quelle dal 2010 in poi. Due mesi freddi, che mi ricordano proprio quella salita al Mutria di quasi dieci anni fa. Si riferiscono, quindi, esattamente alla persona che ho conosciuto. Corredate quasi sempre da fotografie, le poesie (abbiamo due sezioni, Novembre e Dicembre) hanno inoltre in appendice una cronologia di ciò che è avvenuto in quei mesi dal 1962 ad oggi. Una sorta di sintetico diario che fotografa, negli anni, solo quei mesi di novembre e dicembre. Come a dire, lo scenario resta sempre immutato – perlopiù quello del Matese, di Piedimonte, del Mutria, la Gallinola, il Miletto – ma gli anni vengono sfogliati l’uno dopo l’altro. Non avrebbe avuto lo stesso effetto inserendo una cronologia con gli avvenimenti di tutti i mesi e gli anni in ordine. Sarebbe stato qualcosa di difficile da leggere e in qualche modo anche riduttivo.
Questo escamotage di raccontare una vita fissando solo alcuni istanti dell’anno è stato utilizzato da alcuni registi o scrittori: a me ricorda il film Boyhood dello statunitense Linklater (un film realizzato nell’arco di 12 anni, con gli stessi attori, ripresi in vari momenti della loro vita, vincitore di un Oscar, 3 Golden Globe e un Orso d’Argento nel 2015) o il meno noto Dieci Inverni di Valerio Mieli, ambientato a Venezia, in cui viene seguita l’evoluzione di un legame in dieci anni, riportando dieci scene in inverno (David di Donatello e 2 Nastri d’Argento nel 2009).
Carlo aggiunge al volume anche numerosi scritti non suoi, ma di amici delCAI, e alcuni documenti relativi a Piedimonte e trascrive degli episodi che ha reputato interessanti. Lascia così una testimonianza di come si sia evoluto un paese – e il corrispettivo parco regionale del Matese – in un lungo periodo di anni. Questi volumi di poesie sono da considerarsi sicuramente un omaggio ai luoghi in cui ha vissuto. Credo che sia anche questa infatti una delle caratteristiche principali di chi per un motivo o per un altro finisce per scrivere poesie: il senso d’unione con l’ambiente circostante. Chi scrive poesie non è distaccato dal mondo, non lo usa soltanto per viverci, ma ne è costantemente unito. Non può farne a meno.
Carlo annota per una vita le sue salite al Miletto, insieme a Giulia, dapprima estrapolandole dai diari, poi segnandole volontariamente. Alla fine del libro è presente uno specchietto che riporta queste salite al Miletto di Carlo e di Giulia. I due continuavano a “rincorrersi”, facendo a gara a chi salisse più volte. Dapprima Giulia era in vantaggio, poi Carlo la superò. Un amore che non mancava quindi anche di gioco, complicità e competizione.
In mezzo a queste salite – principalmente sul Mutria, sul Miletto sul Gallinola – viene intersecata non solo la storia del Matese ma anche quella d’Italia (ad esempio, è citato il terremoto dell’80), del CAI, del sentiero Camminaitalia di Teresio Valsesia.
Tra le altre cose interessanti nella cronologia, voglio citare l’incontro nel 1982 con il poeta futurista Emilio Buccafusca di cui negli ultimi anni mi sono interessata (anche lui del CAI, medico, alpinista, pittore, piuttosto vicino a Marinetti); l’intensa attività di battaglie ambientaliste da parte di Carlo e Giulia e la gestione di un rifugio per cani. Addirittura, nel novembre 1998 Carlo riporta di essere giunto con Giulia fino in Germania per la consegna di due cagnolini da dare in adozione (raggiungono il rifugio per cani e gatti di Tierheim Worms).
In questi sessant’anni continuano ad accadere piccole e grandi cose. Si fanno inviare una motoslitta da Vipiteno (1983). Ricevono dei camminatori olandesi. Se volessimo collocare questo libro in un genere non sarebbe poesia, ma “slice of life”, ovvero uno spaccato di vita, poiché anche i componimenti poetici raccontano una vita (nella letteratura questo termine si usa per indicare una tecnica narrativa secondo cui sequenze apparentemente arbitrarie di eventi presentate nella vita).
È interessante osservare come alcuni temi siano sempre presenti nel libro, non solo nella cronostoria in appendice. Svariate poesie sono dedicate ai cani (che li accompagnano spesso anche nelle salite): è il caso di Assia, Mally Mally, Chira, Piccina. Molte altre alle amiche e gli amici che incontra, o che talvolta perde. La maggior parte sono dedicate alla natura, alle montagne, com’è giusto che sia. E ritorna sempre – inestirpabile – un approccio critico alla società e ai valori ipocriti e convenzionali che la gente comune crede di rincorrere. Sembra che le convenzioni proprio non piacciano a Carlo. Misericordia, bontà, le convenzioni delle date, il significato comune che diamo alle parole sono alcuni dei temi di queste poesie, con le quali vince dei premi, qualcuno natalizio, a Santa Maria Capua Vetere e a Caserta, e in cui semplicemente esterna il suo pensiero in forma poetica. Ma si vede sempre quest’alternarsi di “pensieri semplici”, dettati dalla felicità o dalla tristezza di un momento ad altre poesie dal linguaggio più volutamente ricercato.
Io comunque credo che chi leggerà questo libro, principalmente, dovrebbe osservare. Osservare quanto può essere strana la vita, e come possa coniugarsi in diversi modi. Notare come alcune persone riescano a condurla in modo sempre personale, originale, senza omologarsi, dando una loro interpretazione e significato e allo stesso tempo decidendo di mostrarla agli altri.
Credo sia infatti, in ogni caso, un grande gesto di gentilezza mostrarsi così, agli altri. Perché no, per dare un esempio. Perché nella vita, se ci pensiamo bene, è molto più semplice non dire nulla, restare indifferenti alle cose che non vanno e tenere solo per sé ciò che si ama. Ma non è così che di solito funziona un poeta.
Valentina Guerriero