di Sabato Covone
Cosa hanno in comune un Presidente della Repubblica, un produttore cinematografico e il Papa? Nel marzo del 2013 l’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano nominò una commissione di dieci saggi. L’obiettivo era stilare un programma di riforme e direttive da prospettare al Parlamento che si sarebbe insediato da lì a qualche mese. “Evviva le pari opportunità”, tuonò ironicamente Susanna Camusso, per l’assenza totale di donne, benché ve ne fossero di molto esperte nei settori di cui si occupò il gruppo di studio. Nel maggio dell’anno scorso il pontefice massimo ha istituito un comitato speciale per valutare la possibilità di far accedere le donne al diaconato, mentre l’ordinazione è stata ritenuta impossibile. I due esempi, presi da due ambienti diversi (laico e spirituale) hanno un fattore convergente: non si ammette che il gentil sesso possa aspirare alle cariche apicali, a cui da sempre possono ambire solo gli uomini. La gravità delle due prese di posizione deriva dall’alto compito attribuito alle due figure, in quanto sono i vertici delle rispettive istituzioni e non hanno dato un buon esempio di apertura. Se si può contestare al Quirinale un retaggio italiano di lungo corso, il Vaticano invece ha influenza internazionale e una sua decisione è applicabile a tutto il mondo cattolico. Potremmo andare avanti per giorni ad elencare esempi di divieti per il cosiddetto sesso debole. Non ha alcun senso criticare certi paesi islamici che non lasciano libere le donne di guidare, quando poi nel Bel Paese i dirigenti pubblici e privati di sesso femminile si contano sulle dita delle mani. E’ vero che in Italia il suffragio universale risale al 1946, ma ancora oggi si parla di “quote rosa” per incoraggiare la partecipazione femminile alla politica.
Il Cinema, soprattutto quello hollywoodiano, risente tantissimo del contesto sociale coevo. Certe volte l’Accademia che assegna gli Oscar ha con forza contestato i segnali che provenivano dai Governi, altre volte ha dovuto fare ammenda di errori propri e rimediare a quelli esterni. Qual è, però, la considerazione che a Los Angeles è riservata alle donne? In ventisette degli ottantanove lungometraggi vincitori del Premio come Miglior Film è avvenuto che l’attore protagonista abbia ottenuto il riconoscimento più importante per la propria categoria, mentre in undici occasioni è successo alle attrici. Col nuovo millennio solo Hilary Swank ha strappato una vittoria, mentre quattro divi hanno raggiunto l’agognato traguardo. Cosa ci dice questa statistica? I ruoli più importanti, nelle pellicole che contano, sono ancora appannaggio del cosiddetto sesso forte.
La politica, la religione, l’arte (ma potremmo proseguire con l’istruzione e tanti altri campi) ci evidenziano come la donna venga ancora ritenuta un essere di serie b. Il maschilismo è ancora imperante, con tutte le conseguenze, compreso l’esercizio di un potere abusivo utilizzato su persone considerate ala stregua di oggetti.
Anche quando gli uomini propongono delle azioni favorevoli al gentil sesso non si comprende mai la natura di chi si deve tutelare. Si prenda il caso della scarsa forza lavoro femminile in Italia. L’idea che si porta avanti è che le donne, qualora impiegate in numero maggiore, porterebbero diversi punti in più al PIL. Il ragionamento è fallace, in quanto non vuole aiutare il sesso debole per quel che è, ma per uno scopo estraneo alla reale portata della questione…l’eguaglianza di genere è un fine, non un mezzo.
All’interno del problema del maschilismo uno dei punti cruciali è rappresentato dalle molestie. L’uomo, infatti, vedendo l’altro sesso come un arnese della propria lussuria, inevitabilmente cerca di ottenere qualcosa, anche esercitando una forza che non rispetta la volontà femminile.
Nelle scorse settimane è scoppiato uno scandalo negli Stati Uniti, che ha coinvolto uno dei più famosi produttori cinematografici: Harvey Weinstein (1952). Il 5 ottobre il New York Times, con Jodi Kantor e Megan Twohey, ha pubblicato un’inchiesta riguardante delle presunte molestie commesse dal fondatore della Miramax nei confronti di diverse donne dello spettacolo. Cinque giorni dopo Ronan Farrow ha raccolto le testimonianze di alcune vittime.
Le reazioni sono state numerose e diversissime: Bob Weinstein ha estromesso il fratello dalla loro attuale compagnia; l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, che assegna gli Oscar, lo ha privato della carica di giurato; il protagonista della vicenda è stato lasciato dalla moglie e ora si trova in una clinica dell’Arizona per curarsi dalla propria dipendenza dal sesso.
Come hanno reagito le donne e come i colleghi maschi? La maggior parte dello “star system” ha contestato la condotta dell’uomo, con le voci di Leonardo Di Caprio, Meryl Streep, George Clooney, Kate Winslet e altri; ma Woody Allen, per esempio, ha detto che non esistono vincitori in questa situazione, in quanto la carriera di Weinstein è stata comunque stroncata.
Gli organi di stampa e l’opinione pubblica hanno assunto un atteggiamento simile, con una maggioranza favorevole alle “prede” del maniaco. Tra le attrici più celebri si annoverano Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow. In Italia il caso ha fatto molto scalpore perché pure Asia Argento avrebbe subito violenza da parte del produttore. L’intervista nella quale l’interprete nostrana tratta della propria esperienza è stata oggetto di contestazioni nel Bel Paese, così come negli USA Paltrow non ha ricevuto esclusivamente solidarietà.
Prima di tutto perché gli episodi avvenuti venti anni fa sono stati riportati solo ora? Secondo tanti una denuncia immediata avrebbe evitato che gli abusi si consumassero nei riguardi di altre donne.
In secondo luogo perché Argento ha continuato a frequentare quel predatore dopo la molestia? I due avrebbero consumato rapporti per almeno cinque anni (ma poi sono giunte precisazioni).
Troppo semplicisticamente tante donne celebri hanno affermato che basta dire “No” e che la querela deve avvenire in maniera repentina. La realtà, però, è molto più complicata. Ambedue le star avevano poco più di vent’anni all’epoca delle violenze, erano all’inizio della propria carriera e temevano che una divulgazione avrebbe stroncato il loro futuro. Davanti a questa osservazione in tanti hanno criticato le vittime, affermando che non si può parlare di violenza se è stato fatto un ragionamento di convenienza. In verità Weinstein aveva molto potere. Un individuo capace di influire sugli organi di stampa, su ambienti idonei a rovinare la reputazione, poteva umiliare qualsiasi persona che si fosse schierata contro di lui. Di nuovo chi critica questo modo di pensare sostiene che le due attrici sono figlie di due uomini altrettanto potenti (il padre della statunitense è un produttore, quello dell’italiana è un regista), quindi avevano le spalle coperte in caso di denuncia. Bisognerebbe spiegare, però, a taluni personaggi, che i processi per violenza sessuale non sono solo un gioco in cui si scontrano due o più potenze mediatiche. Parliamo di una persona robusta fisicamente, sicura di sé, celebre, contro ragazze giovanissime, gracili, timorose di non riuscire a realizzarsi. Non è corretto dire che le due persone molestate facevano parte di un mondo che conoscevano benissimo, provenendo da famiglie già parte di quel sistema, in quanto, così facendo, si trascura il dato umano, personale, che esula dalla professione che esse avevano intrapreso. E’ inaccettabile che qualcuno possa solo pensare che Paltrow e Argento si siano concesse per opportunismo: non solo perché le due poi non hanno più lavorato col produttore in questione, ma anche perché, se fosse accaduto, avremmo dovuto psicanalizzare i motivi di tale comportamento. Se anche la figlia del noto cineasta horror avesse avuto dei rapporti consenzienti con Weinstein non si sarebbe potuto parlare con troppa sicurezza di una relazione sana. La stessa attrice ha rivelato gli incontri, suscitando l’ira degli oppositori, a cui però andrebbero ricordati due elementi. Questi polemisti hanno mai sentito parlare della Sindrome di Stoccolma? E’ uno stato di complicità psicologica e/o affettiva, che si manifesta verso il proprio aggressore in alcune vittime di violenza fisica, verbale o psicologica, che può diventare amore o sottomissione volontaria. Se anche non si volesse richiamare quella sintomatologia si potrebbe pensare a quanto facilmente manipolabili siano delle giovani ragazze con dei sogni. Ammettiamo per un momento che il sesso successivo alla violenza, se c’è stato, fosse voluto. Qualcuno ha mai letto di mariti che violentano le mogli? Quante volte capita che poi le mogli decidano di condividere di nuovo la propria intimità in nome dell’amore e del perdono? Anche quelle donne devono essere considerate contraddittorie? A Hollywood si era creato un clima per cui tutti sapevano e nessuno parlava, forse per egoismo, forse per maschilismo, magari per paura. Vi era un’omertà solo ora confessata da Quentin Tarantino, Jeffrey Katzemberg e Scott Rosemberg.
Il caso di Asia Argento è a dir poco surreale. L’attrice ha ammesso di aver subito sesso orale da Weinstein a 21 anni (oggi ne ha 42); successivamente ha parlato anche di altre molestie. La figlia di Dario Argento, cinque anni prima, stava parlando di un personaggio con un regista, il quale, all’improvviso, le mostrò la propria virilità. Dieci anni dopo, la stessa Argento sarebbe stata drogata e stuprata. I giornali italiani, invece di manifestare solidarietà, si sono chiesti solo chi fosse l’uomo che si spogliò…l’importante è fare notizia. Non un solo contestatore, maschio o femmina, si è stretto attorno alla vittima per quanto concerne la terza violenza carnale subita nel 2001. Qualcuno ha addirittura ricordato quanto Asia abbia una condotta libertina, ma costui o, purtroppo, costei, sa cosa accadde nel 1975 dopo la strage del Circeo? L’avvocato di Angelo Izzo affermò che le donne violentate se l’erano andata a cercare nel momento in cui avevano ottenuto l’emancipazione…siamo tornati indietro di oltre quarant’anni. Siamo ancora troppo arretrati per poter accettare la libertà sessuale delle donne, figuriamoci se possiamo capirle quando vengono abusate. Perché definiamo come “donne coraggio” coloro che nei paesi islamici o in India denunciano, mentre in Italia tendiamo a criticare questa celebre vittima? Il coraggio è definibile come uno sforzo enorme, che esula dalla normalità, quindi l’assenza di un esposto è una eventualità possibile, non è un atto dovuto. Non si può pensare che la querela, essendo l’unica arma contro i soprusi, sia necessaria. Chi subisce uno stupro è sempre colpevolizzato, ha paura di parlare, per varie ragioni. In primo luogo, come ha evidenziato la vicenda Weinstein, si criticano le vittime che non assecondano una morale o un’ottica predominante, ipocrita e sprezzante della psicologia altrui. D’altra parte sono le stesse “prede” a sentirsi in difetto, in quanto si chiedono cosa avrebbero potuto fare per evitare le molestie; si sentono complici perché non hanno fatto abbastanza per sfuggire al mostro di turno. La verità è che uno stupro non è mai e poi mai giustificabile.
Al contrario Brad Pitt ha assunto un comportamento esemplare? L’attore era il fidanzato di Paltrow all’epoca delle molestie e affrontò a viso aperto il produttore, ma poi tacque. Perché l’omertà maschile è stata messa da parte nelle discussioni? Perché gli uomini hanno il diritto di tacere e le donne no? Piuttosto dovremmo renderci conto che la denuncia non basta, non è affatto l’unico mezzo. E’ fondamentale, per cominciare, una solidarietà senza eccezioni. L’appoggio si basa su comprensione, disponibilità ad ascoltare, sforzo di aiutare quando si prospetta un rischio. E’ troppo facile giudicare chi non conosciamo. Non proviamo a sviluppare una forma di empatia, non ci interessa immedesimarci nel caso specifico, valutare se e quanto sia semplice opporsi. Siamo ancorati all’idea che si debba fare una certa cosa in un certo modo, soprattutto da parte di certe persone, ignorando variabili psichiche, sociali, storiche e fisiche. Facciamo male a pensare che il Diritto Penale sia la panacea di tutti i mali. Facciamo male a pensare che le denunce tardive risolvano l’annoso nodo della violenza di genere. Facciamo male a pensare che un solo atto, una sola azione, un’unica soluzione, proveniente da un solo eroe sia capace di risolvere problemi così spinosi: è vigliaccheria, è cialtroneria, è pigrizia pensare di non dover contribuire nel proprio piccolo per dare una mano. Le molestie sessuali sono una aberrazione sociale e la società deve contrastarle. E’ un errore sperare che non ci sarà più un Harvey Weinstein. Gli approfittatori saranno sempre dietro l’angolo: auspicarsi che un comportamento scompaia del tutto e per sempre è pura immaginazione. Ognuno di noi invece dovrebbe lottare con le proprie armi per difendere un’intera categoria di persone dai rischi concreti, senza illudersi di poter creare un mondo ideale. A ben guardare, però, la prevaricazione deriva dalla considerazione misera che ha il sesso femminile. Se provassimo un attimo a vedere le donne come degli esseri uguali agli uomini, non quali oggetti del desiderio, il passo avanti sarebbe decisivo. Il risultato sarebbe enorme se mettessimo a disposizione delle donne qualsiasi strumento, per non farle sentire sole e mortificate, ogni volta che qualcosa altera il loro equilibrio per cause esterne che esse non riescono a controllare.
Fortunatamente per delle istituzioni che hanno dato un cattivo esempio ce ne sono state altre che invece hanno portato avanti battaglie considerevoli. Nel dicembre del 2011, l’allora ministro delle Pari Opportunità, Elsa Fornero, andò via da un incontro che il Governo aveva organizzato con delle organizzazioni giovanili, perché il genere femminile era del tutto assente. Inoltre conosciamo benissimo le lotte che tutti i giorni affronta Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati, che sta cercando di far eguagliare in tutto e per tutto i nomi femminili a quelli maschili, ancora oggi ritenuti più autorevoli. Parole come “vigilessa”, “presidentessa”, “direttrice”, “governatrice”, “sindaca”, “ministra”, “professoressa”, non vengono adoperati dalle stesse donne, che usano per sé le qualificazioni maschili. Tra i tanti contestatori di questa politica si annovera, guarda caso, Giorgio Napolitano, che ritiene non manipolabile la lingua italiana a seconda delle contingenze. Peccato che l’Accademia della Crusca, l’unica vera associazione che abbia voce in capitolo sul nostro modo di parlare, abbia affermato che << Una parola nuova non entra nel vocabolario quando qualcuno la inventa, anche se è una parola “bella” e utile. Perché entri in un vocabolario, infatti, bisogna che la parola nuova non sia conosciuta e usata solo da chi l’ha inventata, ma che la usino tante persone e che tante persone la capiscano >>. Ritorna l’idea della comprensione. Ritorna l’idea di qualcosa che deve partire dal basso, laddove chi sta in alto in una scala gerarchica si comporta erroneamente o non ha gli strumenti per imporre agli altri una determinata condotta. Sorvolando sulle critiche futili e strumentali, sarebbe indispensabile leggere i nomi di tutte le attrici molestate dal balordo, contarli, ascoltare le varie testimonianze, prepararsi a leggere notizie nuove ogni giorno…magari realizzeremmo finalmente che lo scandalo ha una portata più elevata di qualche assurda semplificazione.