La riforma dell’autonomia differenziata, fortemente voluta dalla Lega, con ogni probabilità sarà varata a breve da Camera e Senato. Per il mezzogiorno si apre la pagina più triste e drammatica della storia dell’unità d’Italia. Nel silenzio generale, fintanto che l’attenzione dei più viene concentrata sulle guerre tra Russia-Ucraina e Israele-Palestina, smarrito il valore dell’unità nazionale, ci si avvia inconsapevolmente verso il regionalismo differenziato. Con esso l’Italia diverrà uno Stato arlecchino, ove ogni regione avrà la sua autonomia, modificando radicalmente l’assetto costituzionale. Già nel 2001, con la riforma dell’intero titolo V della Costituzione, una notevole mole di poteri sono stati devoluti in forma concorrente o esclusiva alle Regioni. Ebbene, la riforma Calderoli, ancora più incisiva e radicale, non farebbe altro che attentare all’unitarietà dello Stato, che è pur sempre un valore costituzionalmente protetto. Materie vitali come –ex multis- l’istruzione, la sanità, il lavoro, l’ambiente, i trasporti, le infrastrutture, le professioni, le banche, le relazioni internazionali, il commercio con l’estero e i rapporti con l’Unione Europea, potrebbero essere regolate dalla potestà regionale, qualora le Regioni ne facessero richiesta. In particolare, il meridione avrebbe senza dubbio alcuno una ridottissima disponibilità finanziaria. La funzione perequativa dello Stato, mediante la quale si è sempre operata una distribuzione di ricchezze alle regioni del sud-Italia sulla base del gettito tributario Nazionale, sarebbe frustrata.
Ciò determinerebbe, di conseguenza, una inaccettabile compressione dei doveri inderogabili di solidarietà economica, sociale e politica, previsti dall’art.2 della Costituzione Italiana. Infatti, nel d.d.l. Calderoli è previsto il “residuo fiscale regionale”, ossia la possibilità di trattenere almeno in parte, una volta ottemperata laalla spesa pubblica, ciò che residua dal gettito fiscale dei cittadini di una determinata Regione. Calderoli sostiene che i fabbisogni standard dei cittadini, c.d. LEP, sarebbero comunque garantiti su territorio Nazionale. A ben vedere, non è stata prevista alcuna copertura economica. I LEP dovrebbero essere determinati con un atto governativo (DPCM), il quale dovrà necessariamente fare riferimento alla spesa sostenuta dallo Stato pro capite. I dati statistici sulla spesa pubblica hanno sempre registrato differenze profonde tra Regioni del sud e Regioni del Nord. L’Autonomia differenziata non implica solo il deferimento di talune materie dallo Stato alle Regioni, ma, anche un sovranismo regionale. Si paventa una pericolosa stagione di contrasti tra Stato e Regioni che, presumibilmente, richiederanno un intervento solutorio della Corte Costituzionale. A questo punto, in considerazione delle riflessioni sin ora svolte, ci si chiede, con grande preoccupazione, come possa conciliarsi la riforma sull’autonomia con quella sul Premierato, in evidente rapporto antinomico tra loro.
Invero, da un lato, la riforma sul premierato propone di concentrare maggiori poteri rispetto a quelli oggi riconosciuti dalla Costituzione in capo al Presidente del Consiglio. Dall’altro, l’autonomia differenziata preme per devolvere autonomia legislativa e governativa alle singole Regioni. In conclusione, si disvela la natura caotica degli accordi tra partiti, gli stessi partiti si dimostrano solo formalmente coalizzati, ma sostanzialmente disomogeni nella visione politica del nostro Paese.