Era questo l’incipit del nostro primo appello per la mobilitazione di Avellino dello scorso primo dicembre che portò in piazza quasi mille persone.
Dopo 366 giorni tante cose sono cambiate ed inevitabilmente anche il nostro ruolo come collettivo politico va posto in discussione. I motivi della chiamata di quella piazza, per chi li avesse dimenticati, erano semplici: seguire l’ondata nazionale di indignazione alle politiche sovraniste e populiste che la Lega Nord propugnava, con un occhio di riguardo in vista delle successive elezioni regionali. Né più né meno. Non era la nascita di un nuovo progetto politico ma era evidente che la massiccia partecipazione popolare qualcosa voleva significare. Non era solo l’indignazione contro un Carroccio che qui in Irpinia, soltanto poche settimane prima, era su tutti i giornali per i voti di scambio di natura camorristica legati al Clan Genovese, no; c’era una sincera voglia di partecipazione, di sentirsi parte attiva di un cambiamento voluto ma, i fatti lo hanno poi dimostrato, non ricercato fino in fondo.
Una condivisione di ideali, seppur primordiali, che accumunavano tante persone che volevano sentirsi scevre da qualsiasi etichetta partitica. Il 90% di quella piazza aveva in comune l’appartenenza al centro-sinistra ed era a loro che voleva lanciare un messaggio: basta divisioni, bisognava lottare insieme contro il nemico comune. Quell’idea, che era stata la base portante della massiccia partecipazione di piazza, è stata successivamente esasperata nelle ultime elezioni regionali, con il carrozzone a supporto del Presidente De Luca che vedeva, al proprio interno, forze che andavano dai popolari ai progressisti, senza nessun tipo di programmazione politica se non il fine ultimo di salvaguardare il proprio piccolo privilegio territoriale.
Come ogni progetto di questa particolare area politica, da subito sono iniziati ad arrivare i primi sabotaggi, da parte di una sinistra attenta più a salvaguardare il proprio status che propensa a rispondere alle domande di un elettorato che ancora oggi si sente smarrito. Ciò non vuole giustificare gli errori che, com’è normale che sia, ci sono stati. Ma se la politica doveva tendere una mano ed aiutarci ad incanalare una propulsione popolare che chiedeva un cambiamento, ciò non è avvenuto. Appena si è capito che non c’era la possibilità di mettere un cappello sulle iniziative delle sardine, pian piano sono spariti tutti i volti noti che, nei giorni precedenti la manifestazione, avevano espresso parole favorevoli alla nostra iniziativa, alcuni di loro presenziando fisicamente.
Noi ci abbiamo provato, nelle settimane immediatamente seguenti la mobilitazione di Piazza Garibaldi, a creare dei momenti di confronto e di dialogo. La prova sono le diverse iniziative che abbiamo organizzato in giro per l’Irpinia: dalla prima assemblea di Cassano Irpino passando per il supporto alla vertenza dei lavoratori Novolegno fino ad arrivare alla mobilitazione per la giornata internazionale della Pace senza dimenticare l’ultima iniziativa pubblica di Ariano Irpino.
Poi è arrivato il Covid-19. Questo evento inaspettato, che ha sconvolto le nostre vite ed i nostri progetti. Anche a livello nazionale il movimento delle 6000 sardine ha pagato a caro prezzo l’immobilismo dei mesi del lockdown ma, ora, si stanno iniziando a perseguire, con diverse attività, gli obiettivi presenti nel nostro manifesto, per superare insieme le sfide che questo grave periodo di crisi sociale ci mette di fronte. L’intento delle 6000 sardine resta lo stesso: non un partito politico ma un movimento che vuole stimolare la politica a discutere ed a parlare di determinate tematiche. Lo scorso ottobre la scuola politica delle Sardine, a Supino, ne è stata una prova. In diversi momenti di discussioni plenarie con personaggi del calibro del Ministro Provenzano, di Sandro Ruotolo, Elly Schlein, Nichi Vendola, Rossella Muroni e tanti altri, abbiamo provato a ragionare su un’Italia diversa, su una sinistra diversa.
Gli stessi confronti, gli stessi dialoghi, non sono però avvenuti nella nostra provincia, ma oseremmo dire in tutto il territorio campano. Ancora oggi, purtroppo, la politica viene intesa come un mezzo per incanalare i diversi interessi di gruppi di potere che, più che fare il bene della comunità, preferiscono salvaguardare il proprio status.
Durante questo lungo e travagliato anno, tante persone hanno voltato pagina, tante si sono allontanate, altre si sono avvicinate. Non abbiamo la presunzione di dire che le Sardine erano e sono ciò che serve al nostro territorio; pensiamo però si sia persa una grande occasione. Per demerito nostro, per invidia di altri, per mancanza di volontà, la rabbia, la passione e le richieste di quella piazza non hanno avuto un seguito nel lungo periodo.
Di ciò ce ne dispiacciamo e se in qualche modo è stata colpa nostra ce ne scusiamo. Crediamo però che l’Irpinia abbia bisogno di una nuova primavera politica. Forse non ha bisogno delle Sardine ma ha sicuramente bisogno che i vari soggetti politici del panorama di centro-sinistra, formali e informali, facciano rete. Senza però che la retorica del pericolo sovranista faccia combinare inciuci degni della peggiore Prima Repubblica. C’è bisogno di solidarietà, di progettualità e di condivisione; spesso è quello che manca in uno scenario dove esistono tante piccole realtà, che seguono anche gli stessi fini, ma che però viaggiano su due binari paralleli. Questa pandemia ci ha dimostrato che c’è bisogno di una politica di prossimità che stia a stretto contatto con la popolazione, per poter rispondere alle richieste dei nuovi bisogni a cui inevitabilmente si deve far fronte.
Le soluzioni da ricercare sono spesso complesse e si inseriscono in un panorama che già di per sé presenta una serie di problematiche irrisolte, dall’annoso problema dello spopolamento ad una disoccupazione giovanile che non sembra possa far invertire questo trend nel breve periodo. L’Irpinia ha bisogno di tornare a parlare di Politica.
Che questo compito spetti alle sardine, ai tonni o alle sogliole fa poca differenza. L’importante è che non si lasci spazio a iene, ratti e caimani.