“Le sofferenze fanno scoprire e conoscere la fragilità e la finitezza della condizione umana”. “I forti per stato sociale, oltre che per benessere e potere sono indotti a concepire e ad attuare l’emarginazione dei deboli dalla società. E se i primi escludono gli altri, per una società chiusa e a loro misura, i secondi, con consapevole dedizione ed amorevole responsabilità, sono inclusivi verso gli altri, per rendere più umana e giusta la società”.
Due visioni contrapposte ed antitetiche di vita, che permettono di tracciare il discrimine dei perimetri di ampi campi di riflessione. E così se la prima prospettiva ispira l’esaltazione e la valorizzazione del ruolo della compassione, intesa come attitudine e capacità di “patire” insieme con gli altri, la seconda fa prefigurare e dischiudere gli orizzonti del dis–umano, con l’approdo alle teorie e alla prassi dei cupi e deformanti etnocentrismi, per non dire dell’affermazione violenta dei primati razziali, che hanno troppo spesso connotato la storia dell’umanità, nel lontano come nel recente passato e, purtroppo, nel nostro tempo, nel segno delle tante forme di schiavitù oppressiva, con i terrificanti colonialismi, i devastanti genocidi e totalitarismi, fatti lievitare con le tragedie di immani guerre.
Sono stati – questi e per sommi capi- i motivi tematici suscitati in rapida sequenza dal vescovo Beniamino Depalma, nella chiesa-agorà dei Santi Apostoli, per introdurre i percorsi di conoscenza della figura di San Camillo De Lellis, prospettandone ai tanti giovani presenti l’esemplarità dell’azione e dello stile di vita al servizio degli altri e dei poveri; un modello, da seguire e rivivere, perché la capacità di compenetrarsi con la propria interiorità in coloro che soffrono, rende la condizione giovanile più bella e attraente.
Le riflessioni sollecitate dal presule disegnavano le coordinate di riferimento per la riscoperta della figura e dell’azione profondamente umanitaria del Patrono dei malati e degli infermieri, nel contesto dell’anno giubilare camilliano, proclamato da Papa Francesco per la ricorrenza del 400.mo anniversario della morte del Santo abruzzese, avvenuta a Roma il 14 luglio del 1614. E San Camillo De Lellis appartiene alla millenaria storia religiosa e civile della Diocesi di Nola, del suo vasto territorio e delle sue comunità cittadine. Una presenza, che coincide con la missione di Vicario generale diocesano, che svolse nel 1600, quando l’epidemia infettiva, scoppiata nel 1594, raggiunse l’apice, con il suo carico di sofferenze e morte per le popolazioni. Una missione di assistenza e soccorso, che generosamente coinvolse San Camillo con i Padri crociferi della Congregazione che aveva fondato, oltre che i Padri gesuiti.
A determinare l’epidemia, le condizioni dei canali per il deflusso delle acque, da tempo non sottoposti a lavori di manutenzione e spurgo. Causa scatenante, l’alluvione del 1594, che produsse l’inondazione dell’intero territorio, con le acque provenienti dai Monti Avella , dai Monti del Vallo di Lauro e dalla Collina di Cicala. Una situazione, la cui criticità non fu affrontata con la tempestività degli interventi che erano necessari. E così il prolungato ristagno nel fossato , che circondava le mura della città, come nei canali, a cui afferivano i Casali di Nola – diventati progressivamente Comuni autonomi- in uno con l’accumulo di ogni genere di materiali e detriti abbandonati, rese le acque malsane, innescando e facendo diffondere i virus dell’epidemia letale. E, di passaggio, va rilevato che nel tempo le reti fognarie come i servizi igienici domestici ed urbani erano decisamente precari, se non inesistenti. Né va dimenticato che tra gli organi amministrativi della Città come dei Casali si registrò anche il palleggiamento di responsabilità sulla manutenzione dei canali di spurgo. Incurie di sempre, nell’ Ager nolanus. E non solo, secondo le italiche indolenze e superficialità.
Lo scenario di quello che si chiamava Ager nolanus, inteso come Conca più che pianura, si estende dall’area pedemontana di Avella fino a Castelvolturno, seguendo la direttrice del Clanio, lungo le cui sponde si è coltivata per secoli la canapa, specie nel contesto che comprende Frattamaggiore, Atella, Aversa e Capua. E l’ Ager, cuore della ricca economia rurale del territorio di più antica antropizzazione in Campania, ma anche tormentato dalle problematiche di ordine ambientale e dalle criticità igienico-sanitarie per l’inadeguato regime delle acque piovane, a cui si accompagnavano, a marzo ed aprile, quelle dello scioglimento delle nevi sui monti circostanti, è stato al centro della puntuale e documentata relazione, sviluppata dalla professoressa Maria Carolina Campone, docente di Materie classiche al Liceo “Giosué Carducci”. Una rivisitazione geo-topografica e dell’assetto idrogeologico territoriale, corroborata da documenti ed atti dell’Archivio di Stato, ed integrata dalle cronache delle frequenti inondazioni che avevano interessato l’ Ager nolanus, già prima dei luttuosi eventi che si registrarono dal 1594 al 1600.
E va ricordato che l’epidemia cessò di infierire, grazie alla straordinaria decisione del patrizio nolano, Pier Antonio Mastrilli, presidente della Regia Camera della Sommaria. D’autorità, oltre che con impegno personale diretto, non solo dispose i lavori di spurgo dei vecchi canali, ma anche di scavare nei tempi più rapidi possibili nuovi canali, per far convogliare le acque malsane verso il Clanio, con sbocco sul Tirreno, proprio all’altezza di Castelvolturno. La risposta di sicurezza per il territorio e per le popolazioni, nonostante la crisi economica dell’intero Vice Regno, fu data poco dopo dal governo spagnolo con la realizzazione di quell’importante e strategica opera d’ingegneria idraulica, che fu costituita dal sistema dei Regi Lagni, su progettazione dell’ingegnere Domenico Fontana. Il sistema dei Regi Lagni è valso a garantire per circa quattro secoli la sicurezza del territorio, il valore delle sue colture e della correlata economia, fino a sessant’anni fa.
Sulla scia della relazione descrittiva dell’ Ager nolanus ai tempi di San Camillo De Lellis, proposta dalla professoressa Campone, il dottor Edoardo Verrillo presentava i molteplici aspetti delle criticità sociali, generate dalla diffusione dell’epidemia infettiva tra le popolazioni. Limitate erano le possibilità d’intervento medico-sanitario, decisamente lontane da quelle dei nostri giorni. E lenire le sofferenze dei tanti, che venivano aggrediti dall’epidemia, era un compito arduo, sostenibile soltanto con la generosità umana, di cui San Camillo De Lellis e tanti altri diedero testimonianza condivisa. Una testimonianza di servizio e di dedizione verso il prossimo.
Le riflessioni di padre Antonio Puca erano incentrate sullo spirito umanitario, che contrassegna le attività della Congregazione, fondata da San Camillo De Lellis. Una presenza operosa nella storia sociale italiana, che prosegue nel segno delle idealità del Fondatore.