di Maria Rosaria D’Acierno
Il valore di una nazione si misura attraverso l’apporto culturale, scientifico e commerciale che offre ad altri paesi. Questi tre valori sono il frutto di politiche educative che iniziano dalla scuola dell’infanzia e vanno fino all’università e anche oltre per contribuire alla costruzione di un mondo fatto di esseri umani che si ‘alimentano’ di altruismo per diffondere questo sentimento fino a poter stabilire una certa equità e stabilità di pace sulla terra. Si è da poco concluso a Napoli nella sede del Castel dell’Ovo (11-12-13 novembre 2016) il 60esimo Congresso Nazionale di Intercultura, il quale ha visto impegnati giovani provenienti da tantissimi paesi del mondo. Ognuno di loro ha offerto la testimonianza della propria esperienza all’estero come percorso altamente formativo e dal punto di vista dell’approfondimento culturale e dal punto di vista comportamentale e di sviluppo interiore. A queste esperienze va affiancata anche la questione riguardante l’apprendimento delle lingue straniere, che aggiunge allo sviluppo culturale soprattutto lo sviluppo relativo alla stimolo cerebrale con un arricchimento considerevole di sinapsi che servono oltre che a sviluppare il cervello, a conservarlo attivo fino a tarda età. In breve gli stimoli linguistici servono a recuperare soggetti disabili e a prevenire l’invecchiamento cerebrale. Roberto Ruffino, segretario generale di Intercultura, il quale, dedica i suoi sforzi da oltre 50 anni per educare i giovani alla Mondialità, ha illustrato come questi scambi culturali apportino ricchezza mentale e, quindi, ricchezza materiale. Infatti tutti i giovani impegnati su più fronti, poi riescono ad inserirsi molto più facilmente nel mondo del lavoro con idee innovative e all’avanguardia. Nando Pagnoncelli, sondaggista e amministratore delegato di IPSOS, afferma che coloro che si impegnano da giovani nello scambio interculturale, poi continuano da adulti questo interessante percorso, considerandolo un vero e proprio lavoro. Possiamo osservare che per cercare di risolvere i problemi derivanti da questo immane flusso umano che si riversa in Occidente, la politica economica sta cambiando i progetti di importazione ed esportazione, proprio per investire in paesi più poveri economicamente ma ricchi di territorio agricolo quanto mai fertile. Dal commercio dipende lo stato di salute di una nazione, che dando vita a nuovi mercati, si apre ad un futuro meno incerto. Le frontiere vengono abbattute e il flusso di beni di consumo si alterna al flusso di persone che vanno da un paese all’altro per ragioni di studio, di lavoro, di turismo, o più amaramente per fuggire dalla fame, dall’oppressione, dalla miseria, dalla guerra e dallo sfruttamento soprattutto minorile. Come potremmo oggi tornare indietro ai tempi del muro di Berlino? E’ uno scandalo la costruzione del muro tra Austria e Italia per vietare l’accesso agli emigranti. La salvaguardia del proprio paese non si raggiunge ‘sbattendo’ con forza la porta in faccia a chi con tanta difficoltà è riuscito a bussare a quella porta. E’ una vergogna la costruzione di muri che varie nazioni rivendicano; una vergogna che sbriciola l’Europa in tanti pezzettini senza identità. Una Europa che ormai fa fatica a trovare una solida identità, una Europa che poco si interessa al problema immane del flusso immigratorio, una Europa che spesso ci lascia soli e non si fa debito carico di tutti i problemi che noi italiani stiamo affrontando per dare accoglienza ai rifugiati. Un carico sia economico che soprattutto morale, un carico che vede impegnate tantissime persone che soffrono insieme ai migranti, che cercano di curarli, di dare loro i primi soccorsi, la prima accoglienza, una identificazione che si avvicini quanto più possibile alla realtà. Perché è difficilissimo identificarli, in quanto molti di loro non hanno nessun documento e non conoscono nemmeno la data di nascita. Un lavoro, questo, che la maggior parte delle volte si basa sul volontariato, e che, quando è retribuito, vede una ricompensa di soli 30 euro per una intera giornata. Ma non ha importanza il denaro dice Samira volontaria iraniana e studentessa all’Università Orientale, la quale presta la propria opera come mediatrice culturale per aiutare ad identificare gli emigranti, ma soprattutto per offrire loro una parola di conforto e di incoraggiamento. ‘La cosa più importante’ afferma ‘è che dai loro una speranza e un sorriso.’ Tutto questo discorso è servito per mettere in luce il valore di un mercato che si è aperto ad oltre 100 paesi, facendo dell’UE il primo esportatore al mondo di manufatti e servizi. Questa politica, che non è solo commerciale, frantuma ‘l’angusto pollaio’ (temuto da Sergio Piro) aprendolo agli stranieri. Se qualcuno sente minato il proprio territorio, violate le pareti sicure e protettive della propria casa, vuol dire che non ha ancora assorbito il concetto di Europa, e tantomeno quello di cittadino del mondo o di Mondialità come afferma Roberto Ruffino. Inoltre, una politica commerciale allargata cerca di ridurre lo sfruttamento del lavoro in senso generale, ma soprattutto del lavoro minorile. Fornendo assistenza ai paesi in via di sviluppo con programmi di sostegno e con la riduzione dei dazi doganali, cresce anche l’economia interna. Il concetto basilare di mercato oggi si concretizza sul fatto che il lavoro di squadra rappresenta una esigenza di produzione altamente specializzata e concorrenziale. Lavoro di squadra non significa che un oggetto sia fabbricato in un unico luogo da più persone, ma al contrario, le differenti parti che lo compongono possono essere prodotte in luoghi e paesi diversi in modo da raggiungere una perfezione che usufruisca di varie menti appartenenti a differenti culture con un bagaglio di conoscenze estremamente variegato. Pensiamo alla realizzazione di un aereo; ogni sua parte viene progettata, disegnata, realizzata da centinaia di persone che lavorano molto distanti l’una dall’altra e ognuna di esse è specializzata in diversi settori. Il prodotto finito non avrà il marchio di un unico paese, ma vedrà molti lavoratori, di lingue e costumi diversi, uniti dall’orgoglio di aver fatto parte di un team internazionale. Paesi emergenti quali la Cina, l’India e il Brasile impongono la realizzazione di manufatti altamente specializzati e, quindi, al di sopra di ogni concorrenza. Veniamo ora a discutere dell’importazione di prodotti alimentari che una volta rappresentavano l’orgoglio italiano: olio, pomodori, latte e derivati ecc.ecc. Il pomodoro marocchino usufruisce dell’eliminazione del 55% dei dazi sui prodotti agricoli in entrata nell’UE, ma soprattutto è favorito dal clima mite che permette a questa nazione una produzione naturale senza serre. Il pomodoro olandese, invece, si serve di una alta tecnologia (fin dagli anni 60) poiché il clima freddo impone serre riscaldate, per cui i costi di produzione sono elevati a causa del dispendio di energia sia termica che elettrica e dal costo della manodopera. Coldiretti e Confagricoltura rivendicano i diritti degli agricoltori italiani, poiché il loro prodotto viene venduto sottocosto o rimane addirittura invenduto. Riguardo all’olio, il parlamento europeo ha approvato l’importazione senza dazi nell’UE di 35.000 tonnellate in più (56.700 tonnellate senza dazio già previste) all’anno di olio d’oliva prodotto in Tunisia. Anche qui la Coldiretti rivendica il monopolio dell’olio italiano, poiché queste misure danneggiano i coltivatori italiani (sale del 38% il costo dell’olio), i quali da anni avevano il privilegio unico su questi prodotti come caratterizzanti dell’economia basata sulla dieta mediterranea. Vogliamo accogliere le richieste giuste di tutti, quelle dei nostri agricoltori che erano gli unici produttori di alimenti sani e sicuri e quelle di chi giustifica queste misure per aiutare in patria i paesi del Mediterraneo sopraffatti da tremende situazioni che obbligano i loro abitanti a subire immani umiliazioni pur di trovare un luogo nel quale poter vivere una vita normale. Non dobbiamo avere paura, dobbiamo sfidare la concorrenza incrementando la bontà di un prodotto agricolo che, dovendo competere con altre nazioni, deve offrire maggiori garanzie per la nostra salute. Oggi si deve cambiare! Non ci si può aspettare che tutto proceda allo stesso modo per secoli, si devono accettare le sfide per vincerle, per migliorare, per andare avanti e non tornare indietro.
Maria Rosaria D’Acierno Linguista- Pedagogista clinico-professore Università di Napoli.