Il fenomeno delle liste farlocche di militari alle elezioni comunali è tornato a far discutere, lasciando nell’ombra il mondo della politica e anche il ministero della Difesa. Nonostante le evidenti criticità, che comprendono lo spreco di denaro pubblico, il disprezzo per l’impegno politico sui territori e una distorta competizione elettorale, il problema sembra rimanere irrisolto. In alcuni casi, queste liste addirittura cancellano la necessità del quorum necessario per la validità della consultazione elettorale.
Si tratta di una consuetudine consolidata, un “privilegio” previsto dalla legge che, nel corso degli anni, è diventato una norma distorta accettata come normalità. Ne sono esempio i 31 Comuni della Terra di Lavoro al voto, dove si contano ben 25 liste cosiddette “farlocche”. Queste liste sono diffuse soprattutto nei piccoli borghi, tutti con meno di mille abitanti. Ma se il record si registra a Caserta, l’intera regione Campania non è immune dal fenomeno. Tra Benevento, Avellino e Salerno, in questa tornata elettorale dell’8 e 9 giugno, se ne registrano altre 10.
Le liste farlocche sono formate principalmente da militari non residenti nel comune per il quale si candidano. Questi schieramenti hanno l’unico obiettivo di permettere ai candidati di ottenere un mese di aspettativa retribuita. Un escamotage reso possibile dall’articolo 1484 del Codice dell’ordinamento militare (Com) e favorito dal Testo unico degli enti locali (Tuel), che non impone l’obbligo di sottoscrizione delle liste nei Comuni fino a mille abitanti.
La persistenza di questo fenomeno solleva interrogativi sulla necessità di rivedere le normative vigenti e di adottare misure concrete per contrastare questa pratica, che non solo distorce il normale svolgimento delle elezioni, ma mina anche la fiducia dei cittadini nel processo democratico.