Nei topi, una famiglia di proteine accumula marcatori mano a mano che trascorrono le ore di veglia. Una buona dormita li azzera, riportando il tutto alla situazione di partenza.
Perché dopo diverse ore che non dormiamo, inizia a venirci sonno? Uno studio appena pubblicato su Nature chiarisce come funziona il “timer” molecolare che regola il nostro bisogno di dormire, e ce ne fa sentire la necessità dopo un certo tempo trascorso da svegli – quella che gli scienziati chiamano pressione omeostatica del sonno.
TICCHETTIO COSTANTE. I ricercatori dell’International Institute for Integrative Sleep Medicine di Tsukuba (Giappone) e dell’Università del Texas hanno confrontato una popolazione di topi costantemente assonnati con una di roditori “normali”, arrivando a individuare una serie di proteine che tengono traccia di quanto tempo gli animali trascorrono da svegli.
Negli topi sani, durante le ore di veglia, un’ottantina di proteine accumula marcatori chimici (chiamati gruppi fosfati) a intervalli di tempo regolari, che tengono conto del periodo passato dall’ultima dormita. Immaginate le proteine come tanti cuscini puntaspilli: più puntine si trovano sulla loro superficie, più il bisogno di sonno è impellente. Dormire resetta l’orologio, riportando le proteine nella condizione iniziale.
POSIZIONE PRIVILEGIATA. Studiando il cervello dei topi, i ricercatori si sono accorti che queste proteine si trovavano in corrispondenza delle sinapsi, nei punti di connessione tra neuroni: nella posizione ideale per monitorare durata e ricchezza dell’esperienza di veglia. Nei topi ingegnerizzati per essere sempre assonnati, un gene iperattivo causa l’accumulo di gruppi fosfati a ritmi più sostenuti del solito.
Questa osservazione può spiegare anche la condizione opposta, ovvero perché alcune persone hanno la sensazione che poche ore di sonno per notte siano sufficienti per ricaricarsi. In questi soggetti, l’accumulo di marcatori chimici sulle proteine “orologio” potrebbe avvenire naturalmente a ritmi più lenti.