Un uso più misurato degli smartphone e dei social network potrebbe rivelarsi decisivo per un più sano sviluppo delle facoltà intellettive e per una più corretta integrazione delle nuove generazioni nella società
di Antonio Caccavale
Accompagnate da compiaciuti commenti sul possesso di un quoziente di intelligenza di gran lunga superiore a quello delle generazioni degli anni cinquanta, sessanta e settanta del secolo scorso, la meraviglia e l’ammirazione che esprimiamo quando osserviamo un bambino, anche molto piccolo, maneggiare con una certa abilità uno smartphone, assurgono, spesso, al rango di una sorta di verità scientifica secondo la quale le capacità cognitive dei bambini e degli adolescenti dei giorni nostri sarebbero di gran lunga superiori a quelle delle generazioni dei decenni passati. E così, sulla base di quella che è diventata un’opinione molto diffusa, si finisce col dare per scontato che, in riferimento al loro quoziente intellettivo, i cinquantenni, i sessantenni e i settantenni di oggi non possono che essere collocati in posizioni, per così dire, di bassa classifica rispetto ai vertici che, in quella stessa graduatoria, occuperebbero i “Millennial” (i nati tra il 1981 e il 1995) e la cosiddetta “Generazione Z” (i nati dal 1996 ad oggi).
Ma quale tasso di credibilità si può attribuire all’opinione corrente secondo cui i giovani venuti al mondo dopo gli anni ’80 sarebbero più intelligenti di quelli che sono nati nei decenni precedenti?
Dal punto di vista scientifico la questione è stata affrontata da alcuni studiosi, le cui conclusioni sono approdate a risultati diversi e, per certi versi, contrapposti.
Coloro che affermano che i bambini e gli adolescenti di oggi sono più intelligenti di quelli delle generazioni passate sono quelli che, di solito, fanno propria la teoria dello psicologo statunitense James Flynn, secondo il quale il quoziente intellettivo degli umani aumenta, invariabilmente, col passare degli anni.
C’è, invece, chi sostiene, come fa il ricercatore inglese Edward Dutton, che fino a metà degli anni ’90 il quoziente intellettivo è sì, aumentato, ma da quel momento ha cominciato anche a fermarsi a causa di un progressivo peggioramento dei sistemi scolastici e, soprattutto, per un uso eccessivo delle nuove tecnologie da parte delle nuove generazioni.
Indipendentemente dai risultati contrastanti delle sopraccennate teorie, non si può non concordare con quanti, sulla scia di Piaget, sostengono che il livello di intelligenza che bambini e adolescenti raggiungono sia, comunque, legato più a condizioni ambientali e al grado di interazione con la realtà che ad astratte concezioni sul piano evolutivo e/o genetico.
Se, come alcuni studiosi sostengono, fosse vera la teoria secondo la quale l’uso eccessivo delle nuove tecnologie, a partire da metà anni ’90, sarebbe una concausa dell’interruzione della crescita del quoziente intellettivo, bisogna che ci chiediamo che cosa occorrerà fare per ripristinare la corretta direzione di marcia. A questo proposito possono rivelarsi molto utili le cose che lo psicologo americano, Jonathan Haidt, scrive nel libro “La generazione ansiosa”.
La tesi centrale sostenuta dal professor Haidt ruota attorno a un duplice e controverso comportamento che gli adulti tengono nei confronti dei bambini: alla iperprotezione che, troppo spesso, essi manifestano in riferimento al “mondo reale” (relazioni e interazioni sociali), si contrappone una molto carente protezione rispetto al mondo virtuale.
È il caso di precisare che, col binomio “mondo reale” il professor Haidt si riferisce a relazioni e interazioni sociali “caratterizzate dai seguenti quattro elementi:
- sono corporee, nel senso che usiamo il nostro corpo per comunicare e siamo consapevoli dei corpi altrui;
- sono sincrone, nel senso che avvengono nello stesso momento;
- implicano principalmente una comunicazione uno a uno o uno a molti;
- avvengono all’interno di comunità in cui le persone sono fortemente motivate a investire nelle relazioni e a sanare eventuali contrasti”.
Diversamente dalle caratteristiche proprie delle relazioni e delle interazioni coltivate nel mondo reale, quelle del “mondo virtuale” si distinguono per le peculiarità che hanno preso il sopravvento proprio a partire dalla seconda metà degli anni ’90 e che il professor Haidt così descrive”:
- sono incorporee, nel senso che non è necessario il corpo, ma può essere sufficiente il solo linguaggio e gli interlocutori possono essere (e già accade) rappresentate delle intelligenze artificiali (IA);
- sono altamente asincrone, perché avvengono tramite post e commenti scritti;
- implicano un numero cospicuo di comunicazioni uno a molti, che si trasmettono a una platea potenzialmente enorme;
- avvengono all’interno di comunità con un basso standard di entrata e uscita, quindi le persone possono bloccare gli altri o semplicemente disconnettersi quando non sono soddisfatte.
Secondo il professor Haidt l’uso eccessivo che i giovani e i giovanissimi, ma ormai anche gli stessi adulti, fanno dello smartphone e dei social ha finito col provocare un’estraniazione crescente dalla realtà, col risultato che perfino “nei momenti in cui si svolgono delle attività nel mondo reale, come stare in classe, mangiare o parlare con qualcuno, una parte cospicua della loro attenzione monitora o si preoccupa (in modo ansiogeno) di eventi nel metaverso social (realtà virtuale).
Tornando ai risultati contrastanti scaturiti dalle ricerche a cui si è accennato sopra e se si ritiene che l’uso eccessivo degli smartphone e delle reti sociali virtuali possano, soprattutto per i giovani, risultare più dannosi che proficui, in che modo si potrebbe affrontare il problema per scongiurarne gli effetti negativi che esso può generare?
Dopo aver messo in guardia i lettori sulla possibile non attendibilità dei suoi studi, il professor Haidt, avanza alcune proposte che, se da un lato rappresentano indicazioni niente affatto banali, dall’altro lato potrebbero essere liquidate come raccomandazioni che difficilmente troveranno un’accoglienza favorevole da parte dei giovani, da parte dei genitori e perfino dalle istituzioni scolastiche.
Nel libro “La generazione ansiosa” lo psicologo statunitense indica “quattro «riforme» che sono talmente importanti da ritenerle irrinunciabili e fondamentali. Esse dovrebbero rappresentare le basi di un’infanzia più sana in quest’era digitale e sono:
- Niente smartphone prima delle scuole superiori. I genitori dovrebbero posticipare l’accesso a internet ventiquattr’ore su ventiquattro, fornendo solo telefoni di base (telefoni con app limitate e senza browser per navigare su internet) prima dei quattordici anni.
- Niente social media prima dei sedici anni. Lasciamo che i ragazzi attraversino il periodo più vulnerabile dello sviluppo cerebrale prima di essere sottoposti alla pressione dei social e a influencer selezionati da un algoritmo.
- A scuola senza cellulare. In tutte le scuole, dalle elementari alle superiori, durante l’orario di lezione gli studenti dovrebbero depositare in armadietti o contenitori chiusi telefoni, smartwatch e qualsiasi dispositivo in grado di inviare o ricevere messaggi. È l’unico modo per liberare la loro attenzione e indirizzarla verso gli altri ragazzi e gli insegnanti.
- Molto più gioco senza supervisione e indipendenza. È così che i bambini sviluppano in modo naturale le abilità sociali, superano l’ansia e diventano giovani adulti autonomi.
Il professor Haidt sostiene che queste quattro regole “non sono difficili da applicare, se lo facciamo in tanti nello stesso momento. Non costano quasi niente. Funzioneranno anche se non avremo mai l’ausilio dei nostri legislatori” e aggiunge che “se la maggior parte dei genitori e delle scuole di una comunità le applicasse tutte e quattro, nel giro di due anni assisteremmo a un sensibile miglioramento nella salute mentale degli adolescenti”.
Sulle importantissime e altrettanto delicate questioni fin qui trattate sarebbe opportuno che, soprattutto per il bene dei giovani e dei giovanissimi dei nostri giorni, ciascuno di noi si facesse carico della necessità di sollecitare singoli individui, famiglie e istituzioni locali (i Comuni e le scuole del territorio) perché si apra una riflessione ad ampio spettro e si sviluppi un dibattito intergenerazionale capace di far fronte con maggiore consapevolezza alle sempre più dilaganti tecnologie digitali, alle reti sociali virtuali e a quella intelligenza artificiale che si va affermando con incontenibile rapidità.