di Antonio Vecchione
Le roventi polemiche sulla festa del Maio che agitano alcuni ambienti baianesi sono sorte dal nulla. Non c’è alcun rischio per la festa del Maio e gli allarmi lanciati da alcuni provocatori supportati da pseudo intellettuali sono destituiti di ogni fondamento. Si fa un gran parlare di tradizione delle “carabine” ma le idee sono confuse. I giovani non possono conoscerla e i meno giovani spesso hanno corta memoria. Ecco il racconto puntuale della nostra tradizione. Ed è soltanto la prima puntata: poi seguirà una seconda con le vicende che determinarono veramente il rischio concreto di cancellare questa tradizione, per fortuna evitato grazie a un appassionato e intelligente impegno che dovrebbe essere a conoscenza di molti che però fanno finta di ignorarlo. Ed ecco la prima storia.
A metà mattinata di Natale, un folto gruppo di baianesi e una limitata schiera di appassionati impegnati nello sparo a salve si riunivano all’incrocio del corso con la Nazionale, per aspettare i “mannesi” in arrivo dal bosco Arciano con il maio già caricato sul carretto. I tempi di attesa potevano essere anche abbastanza lunghi per i possibili contrattempi nel taglio e nel trasporto, ma vi era una regola da rispettare sempre: appena arrivava il Maio, si smetteva di sparare. La loro passione era soltanto un intrattenimento per passare il tempo, secondario rispetto all’importanza del Maio, simbolo della festa, che dava significato a tutto il rito. La motivazione che li spingeva dal profondo ad essere presenti era la Fede nel Santo Protettore, non l’”odore della polvere da sparo”. Subito dopo la benedizione del Parroco, questi protagonisti si inquadravano in due fila ai lati del corso per accompagnare il Maio in processione fino alla Chiesa. Procedevano ordinati e composti e, nello stesso tempo, orgogliosi di esserci e di onorare Santo Stefano. Ma, nell’attesa del Maio, non c’era da annoiarsi, poiché entravano in scena questi straordinari interpreti di uno spettacolo folcloristico di grande fascino: lo sparo a salve dei vecchi fucili ad avancarica, chiamati impropriamente carabine. Erano armi antiche, ereditate dai loro padri o nonni, spesso col calcio di legno tarlato, la canna semicorrosa, il grilletto e percussore a rischio. I nostri appassionati le custodivano come bene prezioso, curandole con amore e pazienza. La preparazione dei protagonisti era meticolosa: il contenitore della polvere da sparo (una zucca rinsecchita o un corno), i tubbetti (l’innesco) per l’accensione, gli scarponi spazzolati con la “cromatina”, un fiocco di nastro rosso abbelliva la “carabina” tirata a lucido. L’arma era caricata senza fretta, con attenzione e scrupolo. Col calcio del fucile appoggiato a terra, si introduceva dall’alto la polvere nella canna, facendola scorrere lentamente dal corno appuntito; poi occorreva pressarla con numerosi ed energici colpi inferti con l’asta metallica di caricamento, fino a sentirla compatta. Era un’operazione, quest’ultima, importante che assicurava una fragorosa esibizione. Ed eccoli i nomi di questi personaggi: Gennarino Napolitano ’e camillo; Salvatore Miele, ’o ruoio; Pasquale Acierno, ’o cappellano, suo figlio Luigi ed i nipoti Luigi, Peppe e Franchino Napolitano; Nufrio, Razziello e Mimì Napolitano,figli di Caterina ’e ccione; ’Ntonio Montuori, ’o mozzone; Pellegrino Colucci ’e Vitillo, ’o paccione; Nicola Conte ’e zì Paolino; Stefano e Giovanni Campanile,’e sputazzella; Carminuccio Napolitano, ’o ciamarro, Peppe Napolitano, ’o fetentissimo e il figlio Sabato; Pellegrino Napolitano, ’o prieno; Tittariello ’e pucchiacca e, infine, un famosissimo Paolino Buglione, ‘o mutilato, il quale nonostante la grave mutilazione subita in guerra, non volle mai rinunciare alla sua passione per gli spari a salve. A turno, uno per volta, impugnata l’arma carica con la doverosa cautela, ma anche con la sicurezza (o spavalderia) di chi è padrone della situazione, si facevano largo tra la gente, che si disponeva a semicerchio per la migliore visione del “numero”. Una volta a centro della scena, canna di fucile verso l’alto, si preparavano all’esibizione con studiata lentezza, per catturare l’attenzione del pubblico, che, con applausi a scena aperta, manifestava il suo gradimento, stimolandone orgoglio e vanità. Ciascuno effettuava lo sparo con uno stile personale e inimitabile, fatto di destrezza, di abilità, di piroette, di avvitamenti, di torsioni. L’arma accompagnava docilmente queste fantasiose manovre, apparendo leggera (qualcuno la faceva addirittura volare), fino al botto finale, che era sempre sparato dall’alto verso il basso, in modo da rendere meno pericolosa la fiammata prodotta dallo sparo. I baianesi ne rimanevano affascinati ed entusiasti. I nostri eroi, da consumati teatranti, per godersi la soddisfazione del successo fino in fondo, prima di abbandonare la scena si soffermavano qualche istante a guardarsi intorno. Non sempre tutto andava liscio: qualche volta l’arma si inceppava suscitando nel pubblico un brontolio di delusione, vagamente canzonatorio. Lo sparatore si affrettava a riportarsi in posizione per il secondo tentativo, sperando di cancellare quella che considerava una figuraccia, ma con il terrore di far cilecca per la seconda volta: sarebbe stato un colpo terribile alla propria credibilità. Questi spari costituivano, dunque, un vero spettacolo, di elevato valore folcloristico. Il clima di festa ne guadagnava, anche perché non erano mai assordanti o fastidiosi. Infatti i nostri protagonisti, nel caricare i fucili, sapevano di dover ben calibrare la quantità di polvere da sparo. Erano obbligati a limitarne il consumo per il costo, non sempre sostenibile per le loro magre finanze e, soprattutto, perché le armi antiche, corrose dal tempo, non avrebbero retto colpi pesanti, col rischio di scoppiare. Nonostante la cautela, non erano rari gli incidenti causati da cedimento del fucile nel momento dello sparo, per fortuna quasi tutti senza conseguenze. L’incolumità era garantita, secondo la convinzione di tutti, da Santo Stefano, che non avrebbe mai permesso che uno dei suoi devoti si ferisse gravemente. Non poche erano le “carabine” che, una volta “scoppiate”, finivano poi appese, come ex voto, alle pareti della chiesa di S. Stefano, in ricordo dell’incidente e come ringraziamento al Santo da parte dei “miracolati”.
Questi straordinari cimeli della devozione baianese sono scomparsi da anni, quasi certamente rimossi, per motivi che ci sfuggono, da don Santo Cassese, parroco dal 1962 alla fine degli anni ’80.
Ricordare il fascino degli spettacolari spari con le “carabine” e il clima gioioso che erano in grado di creare, ci induce a riflettere e a evidenziare l’enorme differenza con le esibizioni di oggi, che si colorano di luce diversa. I fucili sono “bocche da fuoco” caricate con enormi quantità di polvere; si spara da fermo, tenendo ben saldi i piedi per terra, producendo una botta rintronante e catastrofica per i timpani (e per le case vicine, che tremano ad ogni scarica). Nessuna fruizione del cosiddetto spettacolo, in quanto il pubblico è costretto ad allontanarsi per evitare danni. Inoltre la quantità di spari è enorme, oltre ogni ragionevole misura: si spara senza interruzione per tutta la durata della processione, da Arciano fino alla chiesa di S. Stefano. Migliaia di colpi costituiscono l’incessante colonna sonora della Festa, fastidiosa e controproducente. L’orgoglio dei vecchi “fucilieri” che accompagnavano il majo in rispettoso silenzio, consapevoli di dar lustro alla processione, è scomparso. Questi moderni protagonisti non sono animati dalla ricerca di personale e fantasiose esibizioni, ma appaiono interessati soltanto a primeggiare nella carica esplosiva: più è assordante il colpo, più si prova soddisfazione
Una evidente prova di questo insostenibile degrado è nella fuga di eventuali ospiti curiosi di assistere al rito del Maio: se ne scappano spaventati. È una deriva che può essere fermata con una presa di coscienza collettiva, peraltro auspicata dalla maggioranza silenziosa di Baiano. Amministratori pubblici, dirigenti del Comitato Maio e personalità di buon senso dovrebbero sedersi ad un tavolo per una profonda riflessione sul futuro della festa. Il recupero della vera tradizione dello sparo delle carabine è uno dei fondamentali obiettivi da perseguire. Noi, animati da fede incrollabile, siamo fiduciosi che sapremo insieme salvaguardare la festa del Maio per trasmetterla alle generazione future in tutta la sua bellezza e il suo significato.