L’ arteropatia periferica obliterante provoca una zoppìa che costringe chi ne soffre a fermarsi spesso, come quando si va in giro per vetrine. Una delle conseguenze più gravi della patologia che interessa la circolazione periferica è la necrosi degli arti inferiori che se non curati devono essere amputati. Il “Network per l’AOP” che parte dall’Università Federico II di Napoli mette in rete 16 ospedali in tutta la regione. Equipe multidisciplinari di chirurghi vascolari e cardiologi prenderanno in carico i pazienti e grazie a interventi di rivascolarizzazione e terapie farmacologiche ridurranno i rischi di amputazione e complicanze cardiovascolari.
Napoli, 11 luglio 2020 . Nasce a Napoli il Network per l’AOP, l’arteropatia obliterante periferica, nota come “malattia delle vetrine”, di cui soffrono più di 3000 campani. La patologia è ostruttiva di tipo arterosclerotico, provoca cioè il restringimento delle arterie. E se a livello cardiaco e cerebrale i rischi ben noti sono ictus e infarto, negli arti inferiori il rischio è la mancata irrorazione dei tessuti con conseguente necrosi e amputazione dell’arto. I primi sintomi sono dolori al polpaccio e alla gamba che provocano una zoppìa intermittente. Da qui il nome “malattia delle vetrine” perché impedisce a chi ne soffre di camminare bene per il dolore e costringe le persone a fermarsi come quando passeggiano per lo shopping. I principali fattori di rischio della malattia sono l’età avanzata, l’ipertensione, il fumo, l’ipercolesterolemia ed il diabete mellito; il “piede diabetico” per esempio è una delle principali complicanze di cui soffrono i pazienti diabetici.
Il Network per l’AOP ha come obiettivo quello di creare un nuovo modello assistenziale per i pazienti con AOP e mette in rete 16 Ospedali campani e nasce da una iniziativa del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università Federico II di Napoli.
In ogni struttura ospedaliera un’équipe multidisciplinare composta da chirurghi vascolari e cardiologi prenderà in carico i pazienti che vanno incontro a rivascolarizzazione arteriosa – sia essa chirurgica che endovascolare – degli arti inferiori. Questi pazienti, come osservato in uno studio internazionale, sono particolarmente a rischio di eventi avversi, sia legati al cuore (i.e. infarto) che agli arti (i.e. amputazioni)1. Allo stato attuale, solo una parte ristretta riceve una terapia medica adeguata e che rispetti le raccomandazioni delle linee guida internazionali. I ricercatori coinvolti nello studio si occuperanno proprio di accertare che dopo la procedura di rivascolarizzazione i pazienti ricevano una valida terapia medica e che questa venga adeguatamente seguita nel tempo (consentendo , per esempio, ai pazienti di avere controllo appropriato della pressione arteriosa e dei livelli di colesterolo) : “L’ interazione tra il chirurgo vascolare e il cardiologo è fondamentale – afferma il Prof.Giovanni Esposito – Ordinario di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia, Emodinamica e UTIC dell’A.O.U. Federico II – perchè l’approccio alla patologia deve essere di tipo chirurgico e farmacologico. In passato, l’ischemia del piede diabetico, causata proprio dall’arteriopatia obliterante, risultava inevitabilmente nell’amputazione, con tutti i rischi connessi. Nell’arco di un anno infatti la mortalità dei pazienti amputati è di uno su tre, in alcuni casi anche di uno su due. Oggi invece le terapie farmacologiche associate alle tecniche di rivascolarizzazione come stent e by-pass, permettono di evitare l’amputazione grazie alla riapertura delle arterie e al ripristino della circolazione nel piede. E in questo percorso il peso della terapia farmacologica è aumentato enormemente; basti pensare che oggi i farmaci riescono a ridurre del 35% le amputazioni. Se consideriamo che in italia vengono eseguite 70.000 amputazioni l’anno, di cui 30.000 a causa di fattori ischemici – le altre derivano da incidenti – con la giusta terapia farmacologica si evitano almeno 10.000 amputazioni. Le terapie farmacologiche di maggior successo sono quelle antitrombotiche con anticoagulanti orali e quelle con farmaci in grado di ridurre il colesterolo: questi farmaci hanno ridotto drasticamente non solo i casi di infarto – per cui erano nati – ma anche le conseguenze più severe ed invalidanti della malattia periferica”.
Nella strategia terapeutica per i pazienti con AOP è importante agire sull’aterosclerosi. Tra i trattamenti di prima scelta, raccomandati dalle linee guida internazionali, vi sono i farmaci ipolipidemizzanti come le statine o le associazioni con ezetimibe. Le statine possono contribuire efficacemente a ridurre gli eventi cardiovascolari più gravi (il 26% in meno) e la necessità di amputazioni. Tuttavia nei casi di un inadeguato raggiungimento del livello target di colesterolo LDL < 55mg/dl, le linee guida suggeriscono l’aggiunta, a tali terapie, di farmaci inibitori del PCSK9, per ridurre in modo significativo il rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti con arteriopatia periferica.
Ma anche il fattore tempo è importante, come ricorda il Prof. Eugenio Stabile, Associato di Malattie dell’Apparato cardiovascolare, responsabile del Programma Infradipartimentale di trattamento integrato dell’arteriopatia periferica e corresponsabile dello studio AMT-Leader con il Prof Giovanni Esposito: “Questa malattia è diffusa più di quanto si pensi ed evolve lentamente, per cui viene spesso trascurata. Invece è fondamentale rivolgersi subito al medico se si nota una ferita che tarda a guarire sul piede o se si prova dolore al polpaccio perché possiamo essere subito indirizzati dagli specialisti. E poi noi stessi possiamo fare tanto per prevenirla e contrastarla, con uno stile di vita sano ed una terapia medica adeguata”.
“La costituzione del “Network per l’AOP” – conclude il Prof. Esposito – consentirà anche di evitare ai pazienti di essere ricoverati in ospedale a causa dell’insorgenza di accidenti cerebrovascolari, cardiovascolari e ridurrà l’impatto sociale delle invalidità attraverso la prevezione delle amputazioni e, non ultimo, creerà un modello terapeutico all’avanguardia in Campania. Questo modello sarà capace di mettere in collegamento i vari specialisti con il fine unico di fornire un trattamento integrato dell’arteriopatia periferica e ci aiuterà a rendere non più necessari tanti “viaggi della speranza” fuori regione”.
Il Centro di Cardiologia della Federico II sarà il centro di coordinamento per i 16 centri aderenti all’iniziativa; la rete nelle cinque province campane assicurerà ai pazienti sottoposti a rivascolarizzazione a causa dell’ AOP una presa in carico uniforme e standardizzata che migliori la loro qualità e aspettativa di vita. La rete si rivolgerà a un target potenziale di circa 1.100 pazienti. La piattaforma informatica faciliterà il coordinamento tra il centro referente e quelli aderenti, favorendo una gestione assistenziale uniforme. Questi sono i centri aderenti a cui i pazienti possono fare riferimento:
- AOU Federico II Napoli
- AORN – Ospedali dei Colli Ospedale Monaldi, Napoli
- S.L. Napoli 1 Centro Ospedale del Mare
- S.L. Napoli 1 Centro Ospedale dei Pellegrini
- Casa di Cura Villa dei Fiori, Acerra (Napoli)
- Clinica Mediterranea, Napoli
- AO Cardarelli, Napoli
- AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, Salerno
- PO San Luca, Vallo della Lucania (Salerno)
- Casa di Cura Salus, Battipaglia (Salerno)
- Ospedale di Eboli “Maria SS. Addolorata”
- AORN Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta
- Clinica San Michele, Maddaloni (Caserta)
- Ospedale San Giuseppe Moscati, Avellino
- Clinica Montevergine, Avellino
- AO San Pio, Benevento