- Federica Guerriero
Allevare un maiale allo stato brado sulle pendici del Parco Nazionale del Vesuvio secondo l’antica tradizione vesuviana. Questa l’idea del macellaio Antonio Di Sieno che ha presentato i primi risultati di due anni di esperimento all’Italian Cuisine World Summit di Dubai, unico italiano nella sua professione, al cospetto di numerosi chef stellati, uno su tutti Heinz Beck. «La cosa più innovativa del momento è il ritorno al passato – così Antonio Di Sieno – quella di crescere gli animali all’aperto e macellarli secondo le antiche usanze. Oggi il 95% della carne di maiale viene da allevamenti intensivi, il mio desiderio è portare sulla tavola un prodotto che viene da un animale che ha vissuto nel benessere».
L’ANIMALE. Le specie di suini sono tante e le tecniche di allevamento sono sempre più specifiche. «Abbiamo dunque voluto unire una buona selezione genetica e un allevamento a carattere tradizionale, da qui l’idea di allevare il “Duroc” apprezzato per l’originalità e unicità che erano appunto le basi per il nostro progetto. E poi è rosso come la lava del Vesuvio». La varietà Duroc si caratterizza per la sua rusticità e resistenza. È una scelta dettata dall’allevamento in condizioni difficili, data la sua resistenza alle malattie e agli agenti atmosferici.
L’ALLEVAMENTO. Il Rosso Vesuviano nasce in stalla e vi rimane fino a 60 giorni, successivamente viene allevato e fatto crescere all’aperto, dove la qualità di vita è migliore e sono capaci di esprimere comportamenti naturali fondamentali per loro, come grufolare, rotolarsi nel fango o nella terra e andare alla ricerca di cibo, fatto quasi esclusivamente dei prodotti che crescono sul nostro Vesuvio. «Abbiamo riscoperto l’antica tradizione delle famiglie contadine dove il maiale veniva allevato nel rispetto di regole precise, tramandate di padre in figlio. Il nostro Rosso Vesuviano viene allevato per 14/16 mesi fino a farlo arrivare a pesare circa 150/170 chilogrammi».
LA MACELLAZIONE. Il momento migliore per la macellazione è dalla fine di novembre, dal giorno di Sant’Andrea, fino a circa a metà gennaio, al giorno di Sant’Antonio Abate. Si attendeva la luna calante per poter procedere al complesso cerimoniale della macellazione, officiato dallo “scannatore”, persona esperta nel dare la morte all’animale senza contaminarne le carni col sangue. «La scelta di questo periodo dell’anno era dovuta a una semplice ragione: le rigide temperature raffreddavano e asciugavano più velocemente la carne e di conseguenza favorivano una più veloce lavorazione. All’uccisione seguiva la lavorazione della carne, si cominciava sezionando le carni, poi si lavoravano quelle per il consumo fresco, si metteva il fegato nella rete, si tagliava la cotica, si stringevano i ciccioli con le tradizionali ganasce di legno, si preparava la salsiccia da stagionare, i salami, il lardo, la coppa di testa, i prosciutti, la coppa e lo strutto». Tutti piatti poveri che Di Sieno, definito macellaio 3.0, sta riportando alla ribalta.
BIOGRAFIA BREVE. Antonio Di Sieno, quarta generazione di macellai, è un giovane professionista specializzato in commercio e lavorazione delle carni pregiate dal Mondo. È titolare di “Trippicella”, azienda nata nel 1940, che distribuisce tagli di prima qualità nelle più importanti città italiane. Definito macellaio 3.0 per la sua capacità di coniugare tradizione e innovazione. Tra i suoi ultimi progetti “Meat innovation” per il recupero della carne di scarto e “Tondo Napoletano” il primo panino fritto con hamburger.