di Antonio Fusco
Non solo determinate categorie sociali hanno uno o più santi tutelari, quali, ad esempio, San Paolino di Nola (prigionieri e campanari), Sant’Alfonso e Sant’Ivo (avvocati), Santi Cosma e Damiano (medici), ma anche singole parti del corpo umano trovano protezione celeste in caso di infermità o disfunzione; la qual cosa è dovuta a particolari episodi agiografici. E così abbiamo Santi che sono delegati a proteggere addome, arti, cuore, denti, ernia, fegato, gambe, gola, intestino, nervi, occhi, orecchie, ossa, pelle, piedi, polmoni, reni, stomaco, testa, ventre, vescica.
A San Biagio sono stati attribuiti diversi miracoli, tra cui il salvataggio di un bambino che stava soffocando, dopo aver ingerito una lisca di pesce, ed è per questo che viene invocato per problemi alla gola. Tutti sanno che Santa Lucia ci difende il senso della vista, perché fu martirizzata con l’asportazione degli occhi, e, pertanto, viene raffigurata reggente un vassoietto contenente due bulbi oculari. San Bartolomeo, il protettore delle malattie della pelle, fu scuoiato vivo ed è sempre rappresentato insieme con spietati carnefici armati di affilati coltelli.
Non tutti però conoscono Sant’Ippazio, che protegge i maschi, grandi e piccoli, dall’ombelico in giù. Tiggiano, in provincia di Lecce è l’unica città italiana in cui è venerato e ne è anche il patrono. La devozione al Santo fu importata nel Basso Salento durante la dominazione bizantina dai monaci basiliani, provenienti dai territori orientali di religione ortodossa, dove gode di venerazione. Nella città russa di Kostroma a lui intitolato si trova il Monastero di Ipatiev, costruito nel 1330.
Ippazio vide la luce in Cilicia e fu vescovo di Gangra, città dell’Asia Minore settentrionale, ai tempi dell’imperatore Costantino I o Costanzo II. Partecipò al primo concilio di Nicea (325) nel corso del quale ebbe come acerrimo oppositore l’eretico Noviziano, che per avere l’ultima parola in un’accesa discussione lo colpì con un violento calcio nelle parti intime. Il brutale colpo, oltre che togliergli il respiro e ad impedirgli di replicare, gli causò una cronica e dolente ernia inguinale che lo tormentò per il resto della sua vita. Sempre a causa dell’ortodossia, fu ucciso a Luziana in un’imboscata ordita dai sostenitori di Noviziano. Le sue sofferenze fisiche al basso ventre lo fecero eleggere protettore dei genitali maschili e dell’ernia inguinale, e in tale funzione è onorato devotamente a Tiggiano.
Si dice che in passato coloro che invocavano il suo intervento si recavano in chiesa, accompagnati dalle loro donne, ad impetrare la grazia della guarigione. Ancora oggi le madri affidano a “Santu Pati”, come i tiggianesi chiamano il loro patrono, i figli maschi invocandone la fecondità ed una felice vita matrimoniale.
LO STARNADDHU, LE PESTANACHE E LE GIUGGIOLE
La Festa di Sant’Ippazio si celebra il 19 gennaio, quando si svolge anche una popolare e molto frequentata Sagra agricola in cui, tra altri prodotti, viene offerta in vendita la “pestanaca“, una carota, di cui nel territorio si produce una particolare varietà denominata di Sant’Ippazio“, che bisogna assolutamente mangiare nel giorno della ricorrenza. Tutti i tiggianesi comprano un mazzo di queste bellissime radici che assumono un metaforico significato propiziatorio, anche perché devono essere accompagnate da una manciata di simboliche giuggiole, due per ogni “pestanaca”. Ricordiamo che i frutti del giuggiolo, che si gustano un po’ ammezziti nei mesi invernali, sono di forma ovale, come una grossa uliva.
Nel pomeriggio il Grande simulacro plastico del Santo è condotto in solenne processione per le vie cittadine con grande concorso di popolo. Prima dell’inizio del corteo processionale si tiene il singolare rito dello stendardo- lo starnaddhu– ovvale a dire l’innalzamento di una pesante asta lunga sette metri, che porta sulla punta una sfera di metallo di cinque chili. Il tiggianese, che ha fatto la maggiore offerta di denaro in favore del Santo, ha il diritto di essere il protagonista del rito. Costui, prima che la statua sia portata fuori dalla chiesa, deve correre, tra un assordante tripudio di tamburi, dall’ingresso del luogo sacro fino alla cappella dell’Assunta, reggendo lo starnaddhu abbassato, parallelo alla strada. Una volta arrivato sul sagrato della cappella deve innalzare l’asta facilmente, con un gesto deciso.
Se l’innalzamento dello starnaddhu avviene velocemente e senza intoppi, si auspica un buon raccolto, se invece é molto difficoltoso è un cattivo presagio per gli agricoltori. Secondo gli storici locali questo rituale, visto il palese richiamo alla prestanza erettile della sessualità maschile, dovrebbe essere la sopravvivenza di un rito pagano priapeo collegato alla fertilità agricola e maschile, sopravvissuto nel popolo come latente substrato culturale, riemerso e riproposto poi in chiave cristiana, senza rinunciare al significato dell’antica ritualità.