Le nocciole della Campania hanno due cuori. Uno batte ad Avella, l’altro a Giffoni. Avella, vicina a Nola e non lontana da Napoli, deve il suo stesso nome alle nocciole, o, forse, viceversa. Insomma, i latini chiamavano la nocciola nux avellana, o semplicemente avellana.
Va da sé che, più di duemila anni fa, Avella fosse già famosa per la coltivazione del piccolo frutto con l’elmetto. Ne parlarono nei loro trattati, fra gli altri, Catone e Plinio. Questa millenaria tradizione sviluppatasi nel Vallo di Lauro – Baianese, lungo un tratto dell’antico Clanis, ha prodotto un ricco assortimento di varietà: la Mortarella e la San Giovanni, a frutto allungato, coprono insieme più di due terzi della produzione, destinata soprattutto alla pasticceria;
la Tonda Bianca e la Tonda Rossa di Avellino, la Camponica e la Riccia di Talanico sono apprezzatissime, invece, per il consumo diretto.
La Nocciola Avellana/Irpina, con il suo forte legame storico, culturale e socioeconomico con l’area geografica di provenienza, può rappresentare una carta vincente per il mondo rurale del comprensorio, in quanto garantirebbe, da un lato, il miglioramento dei redditi degli agricoltori e favorirebbe, dall’altro, la permanenza della popolazione rurale nelle zone suddette. Le caratteristiche di qualità della Nocciola Avellana/Irpina sono strettamente connesse alle
caratteristiche del territorio di origine ed alle metodologie di coltivazione
In definitiva, la “tipicità” della Nocciola Avellana può essere legata, in primo luogo alle caratteristiche della “materia prima”, connesse ad una relazione tra l’origine geografica e le varietà coltivate, in base a motivazioni di vocazionalità. Nel caso della Nocciola irpina, tale caratteristica è riscontrabile direttamente nella presenza sul territorio delle tipiche varietà “Mortarella”, “San Giovanni” e ” Tonda di Avellino” ,che insieme ad altre varietà, pur numericamente ridotte, rappresentano potenzialmente un’insieme di cultivar di grande interesse per la corilicoltura Italiana.
Non vanno tuttavia sottaciuti elementi di potenziale difficoltà, ed in particolare la relativa frammentazione della proprietà che non consente di ottenere economie di scala, nel processo produttivo e nella fase di commercializzazione, se non attraverso il perseguimento di una politica di gestione di alcune fasi della filiera in forma associata.
Le potenzialità di mercato sono molto alte se si tiene conto che l’Unione Europea è deficitaria di frutta secca ed è il primo importatore mondiale con un trend in continuo aumento. Questo continuo aumento è dovuto alla domanda dell’industria dolciaria che sta aumentando grazie allo sviluppo tecnologico agroalimentare ed alla diversificazione delle forme di consumo. Tuttavia la competizione è molto forte sul fronte dei costi di produzione, se si tiene conto delle differenze strutturali rispetto alla frutticoltura intensiva, alla forte organizzazione produttiva e commerciale degli altri Paesi produttori ed al basso costo di manodopera di alcuni Paesi come la Turchia.
Dalle indicazioni sopra espresse è maturata la convinzione che un processo di crescita della coltivazione del nocciolo debba essere perseguito attraverso azioni congiunte orientate non solo alla definizione di un disciplinare ed alla creazione di un marchio collettivo d’area o di una De.Co.(Denominazione Comunale), ma anche alla valorizzazione del prodotto, al miglioramento delle tecniche di produzione, al potenziamento degli attuali livelli produttivi ed alla messa a punto di una idonea strategia di marketing per la promozione e la valorizzazione del prodotto/territorio.
Le nocciole rappresentano sicuramente un prodotto di qualità che va meglio qualificato e valorizzato caricandolo di valore aggiunto, costituito non solo delle sue peculiari caratteristiche
organolettiche, tecnologiche e merceologiche ma anche dalla storia, dalla cultura, e dalle tradizioni gastronomiche legate alla corilicoltura fin dai tempi antichi.
Ettore Guerrera
Centro Studi Agriter
LUPT – Università degli Studi di Napoli Federico II