di Gianni Amodeo
Era il 19 agosto del 1556. E Piazza Navona, a Roma, si trasformò, ancora una volta, in cupo e fosco teatro di bruta e feroce violenza, perché fosse data esecuzione alla tremenda sentenza, con cui il Tribunale dell’Inquisizione mandò a tortura e morte Pomponio Algieri ( o de Algiero), posto sotto accusa per la professione delle tesi e dei principi della Riforma protestante, propugnata e diffusa da Martin Lutero.
Pomponio Algieri fu immerso in una caldaia piena di olio bollente, pece e trementina. Una mistura tremenda da cui fu ucciso- nel volgere di mezz’ora o poco meno- con una morte straziante nell’osceno e “pedagogico” spettacolo, che gli “uomini” del Tribunale avevano fatto allestire- secondo consuetudine- tra la folla salmodiante, nel centro della celebre e monumentale Piazza dell’ Urbe. E il grande inquisitore delle inconcusse e inconfutabili “certezze”, mai safiorate da un refolo di dubbio (e di che?) con cui impostò e condusse l’istruttoria del processo e la condanna di morte per il giovane nolano, fu il cardinale Gian Pietro Carafa, ch’era alla guida del Santo Uffizio. Originario di Sant’Angelo a Scala nell’attuale provincia di Avellino, Gian Pietro Carafa apparteneva ad uno dei potentati feudali più influenti del sistema ecclesiastico dell’assolutismo temporalistico ed assurgerà al soglio pontificio con il nome di Paolo IV.
E va evidenziato che quella di Pomponio Algieri è una vicenda biografica che si dipana per il breve, ma intenso segmento di un’esistenza durata appena 25 anni. Un segmento di vita- era nato a Nola nel 1531- lungo il quale aveva espresso vivacità di pensiero e larghezza di interessi culturali. Così, una volta compiuti i corsi di istruzione e formazione nel cittadino Collegio Spinelli, si era recato a Padova, per intraprendere gli studi di Teologia, Filosofia, Medicina e Diritto proprio nelle aule di quel presidio di libero sapere che nella città veneta si fregia del motto “Universa universis patavina libertas”. Ma ben presto sulla figura e sull’operato di Pomponio Algieri aleggiarono e si addensarono i sospetti, che lo davano quale fervido e convinto assertore dei principi generali della Riforma protestante, specie sul versante anti-curiale e anti-papale. Il giovane studente comprese presto che correva seri rischi ed allora si rifugiò in terra svizzera, a Ginevra. Era il 1552. Ma era ormai un bersaglio da …colpire. E nel 1555 fu tratto in arresto e sottoposto ad un primo processo, secondo la prassi dell’Inquisizione cattolica, nell’ambito della giurisdizione di Venezia. Non era quello che voleva il Santo Uffizio, che chiese ed ottenne dal governo della Serenissima l’estradizione immediata di Pomponio Algieri, per sottoporlo al processo di conclamata eresia nel Tribunale dell’Inquisizione, a Roma. Era il 1555. E il verdetto fu quello ben noto e di cui si è fatto cenno per sommi capi.
Una triste e brutta storia di persecuzione e di intolleranza, quella vissuta dal giovane nolano e che lo accomuna a Giordano Bruno, l’altro nolano, il pensatore degli Infiniti mondi, che sarà martirizzato dall’Inquisizione circa mezzo secolo dopo sul rogo di Campo de’ Fiori, non molto lontano da Piazza Navona. Una storia simile a tante, infinite altre che si sono consumate- e si consumano- sotto tutte le latitudini, l’altro ieri, ieri e, purtroppo, di spiccata attualità.
Sono le storie delle religioni rese dagli uomini – che se ne fanno interpreti e portatori- ideologizzate e strumentali per la pratica del potere, con cui soggiogare i propri simili; religioni, che diventano la negazione di quella libertà e di quella ragione, da porre al servizio della vita e della convivenza tra gli uomini e i popoli, senza discriminazioni etniche e, meno che meno, razziali. Le aspre conflittualità tra sciiti e sunniti in Medio Oriente, il terrorismo di matrice jiadhista, tanto per restare nel perimetro dei nostri giorni, ne sono un testimonianza. E la chiave di volta, che ne fissa il senso, è data sempre dalla volontà di dominio sugli altri. Tutt’altro e diverso dai valori ideali dell’umana spiritualità senza particolari e unilaterali codici di primazia identificativa.