di Gianni Amodeo
Il Pensatore degli Infiniti mondi si racconta, con la perspicacia della dialettica forte ed incontenibile che gli è peculiare, gli sferzanti umori che dissolvono gli autoritarismi di ogni genere e forma, ponendo sotto accusa la Chiesa dell’Inquisizione e il clero del potere che lo condannarono al rogo, a Campo de’ Fiori, finendo per condannarsi – a fronte della storia dell’umano incivilimento– nella propria violenza, nutrita dalla superbia e dall’arroganza dell‘ipse dixit . E lo fa – da uomo che ha conosciuto e frequentato mezza Europa, diffondendo il proprio pensiero e praticando le Corti del potere, per proclamare le sue idealità, scrivendo le sue opere in italiano e latino– nel monologo in scena, domenica, 19 dicembre alle ore 18,00, nella Chiesa di San Biagio che s’affaccia sull’omonima piazza cittadina intitolata proprio al Pensatore; una platea evocativa di mille suggestioni che si rincorrono tra la stessa Chiesa e la prospiciente Chiesa del Gesù e il dirimpettaio palazzo Orsini, che ospita gli uffici giudiziari del Tribunale del vasto Distretto nolano- vesuviano. Un monologo, che si colloca nel corposo e variegato Calendario delle iniziative del Certame internazionale bruniano indette ed organizzate dalla civica amministrazione, guidata dal sindaco Gaetano Minieri, nell’ambito delle attività dell’assessorato alla cultura, di cui è titolare l’architetto Ferdinando Giampietro, con il supporto delle risorse economiche della Regione– Campania per il Programma operativo complementare 2014\2020, per attuare interventi mirati sulla rigenerazione urbana e sulle politiche per la promozione del turismo e della cultura dei territori.
In una notte ubriaca di morte, è il titolo del monologo, con elaborazione concettuale e testo che si devono a Franco Scotto – autore e regista- e interpretazione affidata al giovane attore Antonio Lippiello, con coro di “Voci”, attori e attrici pure di giovane età, per il cast di Proteatro, la cooperativa che concorre ad animare e a valorizzare la cultura teatrale sul territorio, appena reduce dal sold out fatto registrare nelle tre serate del 10–11–12 dicembre scorsi, al “Biancardi”, ad Avella, con la rappresentazione de “La Grande magia”- opera particolarmente significativa della drammaturgia eduardiana in chiave visionaria-, avvalendosi dell’adattamento eseguito da Rosario Sparno sull’impianto originario dell’opera ed autorizzato da Luca De Filippo. Un bel successo di partecipazione e di consenso, con le eccellenti performance interpretative di Mariella Del Basso, Felice D’Anna e Antonio Lippiello, rendendo onore alla realtà di Proteatro.
Nel monologo fluido e lineare ieri ed oggi si incrociano e sovrappongono, nei riprodurre i rispettivi profili di senso, usanze e linguaggio; si parla dei costumi correnti nel ‘500, specie nell’orbita del potere e della Nola, “città di preti, chierici e formatori …” . E’ la Nola che racconta Giordano Bruno che vi è nato nel 1548. “ Nacqui libero- dice di sé- ma scelsi d’ingabbiarmi”; e la gabbia coincide con quella della monacazione, a cui approda negli anni dell’adolescenza, lasciando Nola, poche quale unica via obbligata e percorribile, per poter accedere all’istruzione e alla conoscenza, non avendo altra alternativa né particolare condizione di agiatezza, vincolandosi, però, agli obblighi connessi e alla strada percorrere, senza variazioni. E’ l’ingresso nella Chiesa–istituzione, che- “amai poco– confessa a se stesso e soprattutto rivela a chi ascolta-, a dire il vero, amai Gesù”.
Ad introdurre in scena il monologo, è l’ambientazione in un squallido e disadorno ambulatorio sanitario, in cui campeggia una poltrona d’ufficio, su cui un uomo è strettamente legato in una camicia di forza. L’uomo è Giordano Bruno. E la camicia di forza costituisce l’esercizio del potere– di tutte le forme di potere totalizzante e totalitario– che fa violenza e coarta i diritti umani e le libertà civili. Intorno alla poltrona, a terra, gettati alla rinfusa in maniera d’usa e getta, giacciono libri, riviste scompaginate e quant’altro d’affine, tra cui fanno mostra di sé in particolare computer portatili e materiali elettronici, come per richiamare il presente dei nostri giorni all’insegna dei tutti connessi nel mondo virtuale, ma senza alcuna vicendevole e reale conoscenza, in cui tutti si effondono in pensieri, con pindarici volteggi che spesso sfidano la narcisistica autoreferenzialità.
Sono tanti e vari altri i temi che Giordano Bruno tocca nel raccontarsi, nella notte che precede la messa sul rogo. E’ la notte ubriaca di morte, che precorre il 17 febbraio del 1601. E, per far Gli affrontare le fiamme, a Jordanus è applicata la mordacchia … Neanche le grida del dolore doveva poter emettere. Pur con i conforti religiosi. Il paradosso dell’ipocrisia.
E’ un monologo che può essere decisamente utile e interessante ascoltare, anche e soprattutto per la spigliatezza di stile e d’argomentazione con cui è scritto. Ed è avvertito intimamente dall’autore, Franco Scotto. L’anima sarà data dalla verve e dall’interpretazione di Antonio Lippiello, insieme con le Voci dell’infermiere che accudisce- con lo stolto fare di chi obbedisce agli ordini senza capirne granché – l’uomo ristretto nella “camicia di forza” e della donna in apertura di scena.
Buon ascolto. Va da sé che per l’accesso a San Biagio le disposizioni anti Covid-19.