“È per me, questo, un giorno pieno cari ricordi, di gratitudine sincera, di forte appello alla divina misericordia, di rinnovata apertura del cuore alla speranza”.
Inizia così l’omelia del vescovo Marino, pronunciata questa sera durante la Santa Messa Pro Episcopo, presso la Basilica Cattedrale di Nola. Un’omelia che è il racconto di un amore, amore per Cristo e per la Chiesa.
“Da tre anni sono con voi. – continua il vescovo – Questi anni sono stati segnati dalla rinnovata esperienza d’amare la Chiesa, esperienza sponsale, ritmata dalla sempre ulteriore scoperta della sua bellezza. La bellezza di questa chiesa nolana! Bella nella sua antica tradizione paoliniana; bella nella sua storia modellata dalla grazia di Dio; bella nella sua gente, soprattutto: nella fede schietta e generosa di tanti suoi figli e figlie. Un amore sponsale, quello che ho cercato nello sforzo un po’ caparbio di rimanere in consonanza piena con il Signore, l’unico Sposo fedele della Chiesa, per imparare da Lui ad amare come ‘amico dello Sposo’ ”.
Un amore inquieto, “vissuto tra l’attrattiva della santità, la consapevolezza delle insidie del peccato dell’indifferenza e della scristianizzazione in atto e il guado della mediocrità” che è sempre “palude insidiosa, spesso forse maggioritaria per essere messa, come meriterebbe, all’angolo. Tanto maggioritaria da dare l’impressione di essere essa il volto vero della Chiesa, quando invece ne è solo una brutta controfigura. La Chiesa è santa, invece; e noi suoi figli mai dovremmo offuscarne il volto con la nostra mediocrità”.
Per questo, il vescovo rivolge un accorato invito: “Cari fratelli e sorelle, aiutiamoci vicendevolmente a dare ali alla nostra fede, alla nostra speranza e alla nostra carità: a queste qualificanti virtù cristiane, alla cui luminosità è affidata la grazia e la responsabilità d’essere specchio della santità di Dio in noi. Aiutate me, vostro vescovo, a essere fedele a ciò che or ora, ancora una volta ho chiesto al Signore, davanti a tutti voi, nell’orazione di apertura di questa Eucaristia: adempiere cioè degnamente al ministero episcopale, tenendo lo sguardo rivolto al supremo Pastore”.
Soffermandosi poi sulle letture offerte dalla liturgia ( 1Gv 4,7-10; Sal 71; Mc 6,34-4) monsignor Marino ha sottolineato come “il brano del vangelo di Marco che abbiamo ascoltato ci offre ulteriori spunti per cui è possibile riconoscere nella persona di Gesù la manifestazione dell’amore divino e del nostro ecclesiale coinvolgimento in esso. Gesù ha compassione e questa è la radice più profonda della sua missione divina. Questa è da sempre il motivo dell’uscire di Dio da se stesso. Per incontrare ciascuno dei suoi figli, egli rompe il suo isolamento seguendo il suggerimento delle sue viscere di pietà. Gesù ha compassione, patisce in pieno. È l’uomo della «passione», colui che patisce il dolore, se chi ha davanti soffre, e che patisce la gioia, se chi ha davanti è contento. Gesù rivela il Dio che «patisce», che è «appassionato», e che è «paziente». Lo sguardo che getta sulla miseria della folla/umanità, serve ad orientare ed istruire lo sguardo dei discepoli. Gesù guarda la folla, ne sente compassione e reagisce. Spera che i discepoli, vedendo come lui guarda e reagisce, vengano istruiti anche sul proprio sguardo, sui propri sentimenti, e sulle priorità del loro agire. Non è questa forse l’autentica dimensione della pastorale ecclesiale? Ciò che “commuove” Gesù non è tanto il vedere una folla affamata o sofferente, ma lo smarrimento di gente abbandonata a sé stessa, senza punti di riferimento, affaticata, in cerca di qualcosa che dia senso alla vita. Per questo motivo Gesù “si mise a insegnare loro molte cose”. Il banchetto della Parola precede quello del Pane. Ma effettivamente al moto di compassione di Gesù corrisponde significativamente anche l’imperativo che avverto particolarmente urgente stasera per me vescovo, anzi per tutta la chiesa nolana: “Voi stessi date loro da mangiare! Attraverso le nostre mani e il nostro cuore passa un po’ di quel pane che Gesù offre. È la testimonianza cristiana: della nostra povertà il Signore si serve per compiere grandi cose, come ci ricorda il cantico di Maria, l’umile serva del Signore, la madre di Dio. Vi prego di continuare ad accompagnarmi con la vostra preghiera e amicizia, non guardando alla mia povera persona, ma a ciò che il Signore ha posto sulle mie spalle e, prima ancora, nel mio cuore e nella mia mente”.