La maschera e le sue multiformi espressioni nelle modalità applicative, rappresentandone le motivazioni di comunicazione e le funzioni di linguaggio sociale. E’ l’ interessante prospetto di elementi d’analisi e riflessioni che Ezio Flammia sviluppa nel suo più recente testo di divulgazione, L’arte della maschera di stoffa, pubblicato da Dino Audino editore. Un’attenta ricognizione sulle tecniche di preparazione e realizzazione delle caratteristiche apparecchiature calate sul viso, in ossequio a lontane usanze e a consuetudini ricorrenti, per contraffare e impedire i riconoscimenti identificativi, come per nascondere – o sottrarre- se stessi alla realtà, dedicandosi agli artifici della finzione che corrispondono a ritualità ancestrali e magiche, mitiche e di terrena religiosità devozionale.
Sono artifici, che nell’immaginario collettivo suscitano ed alimentano suggestioni in grado di veicolare leggende di proclamata- e praticata- giustizia a servizio dei deboli e degli oppressi. Zorro, inconfondibile nell’integrale mascheramento di sé con il nero mantello svolazzante e la spada sguainata, punendo, implacabile, le violenze e le arroganze dei potenti, insegna a suo modo. E nella fisicità delle maschere vive e risiede anche l’ardita e audace contraffazione di se stessi, che permette di violare e aggredire i sani principi della civile convivenza che fa leva sulle normalità delle leggi scritte e sull’ossequio delle leggi morali che non hanno bisogno di scrittura.
E’ lo sfondo, in cui si è dipanato il dialogo tra Ezio Flammia e Carmela Maietta, giornalista de Il Mattino, con attenzione mirata e dettagliata sulle maschere ludiche, collegate al top delle usanze e consuetudini carnevalesche, in specie del teatro nella Commedia dell’Arte, oltre che sulle maschere connesse ai riti funebri del mondo antico. Un dialogo, per evidenziare il ruolo e il significato dei materiali utilizzati, per confezionare le maschere, frutto di studiata e collaudata lavorazione di cuoio, tessuti, stracci, ceramica, gesso e la cartapesta, il mix di carta e colla. Una cultura di lavoro artigianale e, al contempo, di ri-ciclo e ri-uso degli materiali, che ha nelle maschere di stoffa una delle più interessanti produzioni, con un bel lotto donato da Ezio Flammia, eclettico artista e poliedrico scenografo, alla struttura museale di via Senatore Cocozza.
E’ calato così il sipario sulla Mostra temporanea dedicata alla cartapesta, dall’ Associazione Museo Siti d’Arte, ambientata nel complesso del Museo storico- archeologico della città e del territorio nolano ed esposta al pubblico nello spazio dei resti diroccati di quella ch’è stata la Chiesa di Santa Maria La Nova, nel centro antico urbano. Un’iniziativa, approdata alla sesta edizione ed inserita nel quadro delle manifestazioni della graduale ripartenza, per riallacciare e ri-tessere i fili del Giugno nolano, dopo il lungo lookdown – coronavirus, in vista del ritorno dei Gigli, con la Festa del 2023.
Un impegno assolto al meglio dai promotori della Mostra, in attiva sinergia con l’architetto Giacomo Franzese, direttore del Museo; impegno avvalorato al meglio dalla qualità e originalità creativa trasfuse nelle opere in rassegna, realizzate da Leopoldo Santaniello, Felice Canfora, Dino Bianco e Cettina Prezioso, come dire il fior fiore delle sculture e dell’oggettistica, con cui si onora l’ arte cartapestaia. Una rassegna in cui ha brillato di propria luce l’ Ospedale delle bambole, con i manufatti ri-sanati dalle cure artistico- artigiane, in cui eccelle Tiziana Grasso.