I drammi personali e le profonde lacerazioni sociali, che connotarono gli anni di piombo, culminati nell’assassinio di Aldo Moro, dopo il sequestro in via Mario Fani con la strage dei poliziotti che formavano la scorta personale, rivisitati dalla figlia dello statista – Agnese– e da Adriana Faranda che del terrorismo è stata una protagonista. Una narrazione commossa, sui versanti del privato e del pubblico, per evidenziare il nullo e il vuoto che scaturiscono dall’uso della violenza e della forza nella politica, ch’è, invece, testimonianza civica e servizio paziente per la costruzione della società nella pace, senza distinzioni manichee e rivendicazioni di primati ideologici, che negano visioni di mondo diverse. Pienamente coinvolto e partecipe il folto uditorio che ha letteralmente gremito la Chiesa–Agorà dei Santi Apostoli. Un evento di notevole caratura culturale e civile riflessione sull’ ieri della bruta stagione del terrorismo, facendo porre seri interrogativi sulle inquietudini dell’oggi da cui è attraversato l’Occidente.
di Gianni Amodeo
Noi e Loro. La linea d’ombra che divide e fa smarrire il senso e il rispetto dell’umana dignità da conoscere e ri-conoscere agli altri così come si conoscono e ri-conoscono per se stessi come a se stessi; linea, che genera dissidi e conflitti permanenti nutriti delle astrattezze ideologiche, fino a tradursi in odi che nullificano la vita e la libera comunanza sociale, principi e fini della politica. E la goccia d’ambra, metafora della solitudine con cui ci si chiude in se stessi nella cupa tristezza, estraniandosi dal mondo e dalla vita sociale.
Sono stati alcuni dei filoni tematici seguiti, con varietà e intensità di racconto, da Agnese Moro nel dialogo sviluppato con Adriana Faranda nella Chiesa-Agorà dei Santi Apostoli, gremita da un uditorio attento e partecipe nel quadro delle iniziative di riflessione culturale, promosse ed organizzate dall’Istituto di Scienze religiose “Duns Scoto” in collaborazione con la Facoltà di Teologia dell’Italia meridionale, in coincidenza con il periodo dedicato dalla liturgia cristiana all’Avvento della Natività di Gesù. Un approccio significativo per la tematica del dialogo, ispirata dalle valenze dell’apertura Verso gli altri, avendo quale elemento di analisi e meditazione la strage di via Mario Fani, in cui fu sequestrato il padre, Aldo Moro, statista e leader della Democrazia cristiana, per essere ucciso dopo 55 giorni di prigionia, e furono assassinati i cinque agenti di Polizia della scorta personale. Una drammatica vicenda, che ha segnato la storia degli anni ’70 e la capacità di attacco del terrorismo delle Brigate rosse verso lo Stato, colpendo una delle più alte espressioni dell’istituzioni repubblicane, qual è stato Aldo Moro.
Nel ri-vivere la strage dei poliziotti, la prigionia e l’uccisione del padre, ripercorrendo il vissuto personale della sofferenza e del dolore, Agnese Moro puntualizzava le inquietudini sociali e politiche degli anni ’70, con una toccante racconto filtrat0 dagli affetti privati e famigliari fortemente turbati dalla strage di via Fani e resi ancor più duri da vivere dopo l’assassinio del padre. Una ricognizione evocativa, attraversata da una lucida e limpida auto-analisi a cuore aperto, facendo incrociare ed incastrare tra loro la sfera personale di donna e madre con quella pubblica catalizzata dai delicati e ardui equilibri politici della società italiana, che si reggevano sull’antagonismo tra la Dc e il Pci, su cui la pressione del terrorismo stragista “nero” e delle Brigate rosse faceva avvertire il suo peso, con una stretta ferrea; una spirale di vicende, che fa da specchio del vissuto di Agnese Moro, il cui cammino esistenziale assume una svolta imprevista e imprevedibile proprio dopo il trauma di via Fani. Una svolta, che le fa scoprire e conoscere- come ben evidenziava- le ipocrisie e le ambiguità, ma soprattutto i tradimenti dei potenti della politica, specie nella complessa e defatigante fase della “prigionia” a cui per 55 giorni fu sottoposto il padre, prima di essere assassinato.
E’ la fase dell’enfatizzata “trattativa” per la liberazione di Aldo Moro, che, però, era destinata a non approdare all’esito della salvezza dell’uomo politico. E fu l’assassinio del leader della Democrazia cristiana. E’ la scoperta o, se si vuole, il manifestarsi degli inganni – quella dei potenti della politica che usano le ambiguità e i tradimenti a tutela del loro ruolo- che aggiunta al dopo-strage, al sequestro e all’uccisione del padre fa formare quella ”goccia d’ambra”, in cui si ritrovano il vissuto e il dolore di Agnese Moro, condivisi con i famigliari. E la “goccia d’ambra” che ha le apparenze delle ali protettive, ma è, invece, soltanto una specie di obbligatala chiusura in se stessi e nella propria solitudine. Poi, il graduale percorso di ri-scoperta dell’umano dell’ Altro, degli Altri, dei Loro. E’ il percorso del perdono e della riconciliazione verso gli assassini del padre e dei poliziotti della sua scorta; percorso, che squarcia la “goccia d’ambra” superando le angustie della solitudine , per andare Verso gli altri.
Di prevalente natura sociologica e storica, la riflessione politica di Adriana Faranda che delle azioni terroristiche, il cui epilogo fu l’uccisione di Aldo Moro, per sottolineare le contraddizioni e le diseguaglianze della società, con le risposte sbagliate date dai gruppi e gruppuscoli dell’eversione, di cui le Brigate rosse costituirono la punta avanzata d’attacco verso lo Stato e le istituzioni repubblicane. Furono risposte sbagliate, perché introdussero e alimentarono l’uso della violenza e della forza delle armi nella contesa politica. Una grave distorsione, fortemente distruttiva del valore della Politica ch’è confronto dialettico, anche aspro, per costruire una società umanamente migliore. Un punto di analisi, che Adriana Faranda integrava, dando circolazione delle idee, evitando, però, quelle visioni manichee che nel rivendicare il primato o la superiorità di specifiche concezioni e visioni del mondo e della società, annullano altre concezioni e visioni.
Efficaci le riflessioni che la Faranda proponeva sulla giustizia ripartiva, che, sancisce, secondo legge, il reato e le responsabilità penali, cristallizzandone la configurazione nel tempo, come sospendendo la vita, che, invece, continua per natura. E nella continuità, scontando la sanzione nel rigore del credere, si collocano le opportunità e le condizioni per ri-costruire il senso della vita, procedendo Verso gli altri. Il ri-conoscersi negli altri. Ed è il senso della dignità umana affermata senza distinzioni settarie; quelle distinzioni, che trovarono spazio nelle inquietudini sociali di circa mezzo secolo fa, seminando morte e stragi spesso di vittime innocenti. E sono inquietudini che da tempo serpeggiano qua e là nel mondo occidentale.
Due tracciati, quelli delineati da Agnese Moro e Adriana Faranda, per un’autentica lezione di Storia e Vita, al tempo stesso, con una caratura di linguaggio di alto profilo per concetti, pensieri e riflessioni puntuali alla luce di esperienze esistenziali direttamente vissute..