Nola. Lettere aperte del vescovo Marino a sindaci, personale ospedaliero, lavoratori e imprenditori

Nola. Lettere aperte del vescovo Marino a sindaci, personale ospedaliero, lavoratori e imprenditori

L’emergenza sanitaria indotta da Covid-19 fa avvertire il suo peso per superiori esigenze di interesse generale e della comun salute, riducendo non solo e sempre di più gli ambiti delle relazioni sociali e interpersonali, ma anche e soprattutto incidendo con profondi e rilevanti condizionamenti sulla realtà economica e produttiva dei territori. Il vescovo Francesco Marino scrive a sindaci, medici, infermieri, lavoratori e imprenditori, per testimoniare l’attiva presenza di condivisione della Chiesa per gli ardui impegni e difficoltà che sono chiamati a fronteggiare. Una testimonianza di solidarietà per costruire la speranza e il futuro.

di Gianni Amodeo           

La Chiesa quale riserva di speranza e punto di connessione di legami che non vanno persi o indeboliti, ma rafforzati e resi più autentici”. E ancora: “Ci avviamo ad una Pasqua senza popolo, che, però, non è un paradosso, sarà popolare più che in altre circostanze, perché siamo immersi fino in fondo nelle vicende della nostra gente”.

            Sono – queste- le chiavi ispiratrici delle lettere aperte, scritte dal vescovo Francesco Marino, per rappresentare gli elementi di svolta e di apertura al futuro, con cui uscire dalla spirale dell’emergenza sanitaria generata dal Covid19, il cui tragico carico di morte diventa sempre più gravoso e fonte di sofferenze e inquietanti incubi; lettere, che hanno per destinatari uomini e donne schierati in prima linea nell’arduo ed oneroso impegno, per contrastare e ridurre al meglio possibile gli effetti dell’emergenza in atto, che rischiano di tradursi in pesanti ricadute sociali ed economiche, senza spiragli di risalita.E’ un’azione, quella di uomini e donne di prima linea, ad ampio raggio e respiro, a cui con vivo e attento senso di partecipazione, guarda la Chiesa, proponendosi quale riferimento d’incontro che promuove e favorisce la coesione spirituale e civile. Una riserva di speranza, da cui attingere e sempre disponibile verso l’attuazione del bene comune.

            Gli interlocutori, a cui si rapporta il presule, in particolare, sono uomini e donne che esercitano funzioni e competenze mirate e specifiche nell’assetto istituzionale e organizzativo della vita delle comunità; funzioni e competenze distinte tra loro e, al contempo, di alta responsabilità etica e pubblica.

            Della prima lettera – per ordine numerico- destinatari sono i sindaci, nella specificità di ruolo, oltre in quella di rappresentanti delle amministrazioni comunali di cui sono guide. Se ne evidenzia – in tutt’uno con i familiari- lo spirito di servizio che sono chiamati a rendere alle comunità cittadine e messo a severa prova in questi giorni di emergenza, a fronte delle incombenze da sostenere e delle problematiche da superare. Un passaggio chiaro e netto è riservato al dopoemergenza dal quale scaturirà un’idea di comunità nuova, in ordine ai rapporti umani e la loro riconfigurazione,i cui ancoraggi sono formati dai vincoli di solidarietà sociale, nel lavoro e nell’economia.

            A medici,infermieri, personale amministrativo e addetti ai servizi delle strutture ospedaliere operanti sul territorio diocesano è destinata la seconda lettera, per evidenziarne l’impegno che vengono profondendo nei loro delicati compiti, con spiccato senso di professionalità e di piena dedizione, segnatamente in questi giorni emergenziali. Ed elemento di particolare rilievo- nel documento del vescovo Marino– è certamente quello in cui è marcata l’importanza della Sanità pubblica, che del sistema del welfare costituisce fulcro nevralgico e fondamentale, da potenziare e salvaguardare, al di là dei limiti gestionali e delle sfasature burocratiche che pure sussistono. Una centralità, quella della Sanità pubblica, la cui basilare funzione viene confermata proprio dalle risposte che è in grado di dare- e dà- per arginare l’aggressività del Covid19.

            Lavoratori e imprenditori sono al centro della terza lettera. Sono posti in rassegna i settori attraversati da criticità e sofferenze per effetto dell’attuale congiuntura, su cui si riflette l’incertezza del domani. Turismo, trasporti, ristorazione, mondo della cooperazione, Terzo settore, filiera agricola, piccole e medie imprese sono i comparti maggiormente colpiti. Un’ulteriore frenata che si aggiunge a situazioni già problematiche per il territorio, di cui va presa coscienza e consapevolezza, perché non si generino condizioni di “ carneficina sociale”.

Sotto questo profilo – scrive il vescovo Marino– proprio “la crisi fin da adesso deve far riprogettare il nostro cammino, per dare nuove regole con nuovi impegni, per valorizzare le esperienze positive, rigettando quelle negative, facendo diventare questo momento di prova, momento di discernimento e progettualità. L’emergenza sanitaria possa attivare gli anticorpi per una resilienza che permetta di sognare un nuovo tempo”.

            E – volendo recuperare frammenti della memoria sociale del territorio- echeggia nelle riflessioni dettate da Marino l’esigenza della costruzione della speranza, che dà senso al futuro e prefigurata da Giovanni Paolo II nell’omelia che pronunciò nella celebrazione eucaristica officiata a piazza d’Armi il 23 maggio del 1992, a Nola; esigenza ribadita da Giovanni Paolo II nella stessa giornata nell’ incontro con gli imprenditori nel Centro ingrosso sviluppo del Distretto del terziario, per focalizzare la forza propulsiva ed emancipatrice del lavoro umano che genera armonia civile. Ed è proprio il valore del lavoro umano, a comporre l’architettura delle idealità della Laborem exercens, l’Enciclica, pubblicata nel 1981, in coincidenza con il 90.mo anniversario della Rerum novarum – l’Enciclica di Leone XIII costituiva dei capisaldi della dottrina sociale cristiana- e che rappresenta una delle parti più cospicue e significative del suo Pontificato e del suo pensiero. Ed è il lavoro che dà dignità agli uomini, costituendo, per se stesso- sottolineò, Giovanni Paolo II– la chiave di volta per la soluzione della questione sociale, specie nel Sud.

Una questione che resta sempre aperta ed è esposta ad avvitarsi su se stessa, aggravandosi sempre di più. Ed è parte minima a fronte della vastità e della complessità dell’ emergenza sanitaria in atto e mondializzata. Emergenza che già segna uno spartiacque, tra l’ieri e il domani imprevisto e imprevedibile.