Professionisti, tutti in fila. A bussare alle porte delle scuole per racimolare qualche ora di supplenza alla settimana non ci sono più i soliti precari. Perché ora, precari, lo sono anche loro: architetti, avvocati e, addirittura, commercialisti. Tutti con in tasca, oltre a una laurea, l’abilitazione professionale e l’iscrizione a un albo. Tutti alla ricerca di un espediente per integrare lo stipendio o, nella peggiore delle ipotesi, di un’alternativa, perché il proprio lavoro non basta più.
Durante l’estate sono arrivate agli uffici scolastici regionali di tutta Italia 700mila richieste di aspiranti supplenti. Il doppio rispetto al 2016. Tra loro è difficile contare quanti professionisti ci sono. “Mai visti così tanti prima d’ora” è quello che assicurano i dirigenti scolastici. Un dato esemplificativo, però, lo forniscono Snals Milano (Sindacato nazionale lavoratori autonomi scuola) e Cisl Scuola Milano. Nel primo caso su 800 persone che si sono rivolte all’associazione il 25-30% era composto da architetti, ingegneri, avvocati e commercialisti; nel secondo, stando alle parole del segretario generale, Massimiliano Sambruna, il “20% su 2mila, con gli ingegneri in aumento”. Anna Ricci è un architetto. Vive e lavora in provincia di Reggio Emilia. Ha 50 anni e tre figli adolescenti. A giugno si è iscritta alla graduatoria (terza fascia) per insegnare nelle scuole come supplente: non esercita più la professione d’architetto perché, rivela “qui è il vuoto, siamo tutti alla canna del gas” e sta pensando di lasciare Inarcassa (la previdenza di categoria).
“Se qualcuno davanti a me si ammala, se qualche ragazza rimane incinta forse, e ripeto forse – dice con ironico sconforto – mi chiameranno per fare poche lezioni. Come migliaia di persone, mi sto aggrappando al niente”.
Il problema, ammette “è che non sono né vecchia decrepita né una giovane che può andarsene oltre confine. Ho 50 anni e tre figli da mantenere”.
Ricci si è laureata a Firenze col massimo dei voti (“il corso di laurea era prestigioso, puntavo sempre al massimo e la mia famiglia mi ha permesso di studiare fuori, sacrificandosi economicamente”) e ha un master in Progettualità esecutiva dell’architettura. Da metà anni ’90 ha lavorato come libera professionista. Poi le cose, a cavallo col nuovo millennio, sono cambiate, fino a precipitare: “Tra i miei vecchi colleghi c’è chi si è buttato nell’arte e fa il critico, chi si è reinventato artista, chi fa i cappelletti e chi ha aperto una gelateria”.
I numeri parlano chiaro: tra gli iscritti a Inarcassa, tra il 2007 e il 2015, i redditi medi sono scesi del 40%. “Se tornassi indietro andrei all’estero. Ai giovani che vogliono diventare architetti dico ‘ma cosa fate, lasciate perdere!’”.