di Gianni Amodeo
Per un cammino di Senso e di Significante
Il ventaglio delle usanze e dei costumi, con cui si intessono e stratificano nel cammino dei tempi le tradizioni identificative dei territori e delle comunità, è ampio e multiformi sono le simbologie e le manifestazioni folcloristiche che ne costituiscono lo specchio e la vivida rappresentazione che fa vibrare il diapason delle passioni e delle emozioni. E , parimenti, sono molteplici le chiavi di lettura che permettono di darne un’interpretazione esaustiva- fosse pure ex–post rispetto al nucleo originario d’ispirazione- che si atteggia con profili mitici ora proiettati nell’ancestrale, ora nelle ascendenze storicizzate della transeunte religiosità popolare; religiosità, in genere connessa con gli elementi connotativi della sacralità politeista pagana, cooptati, a loro volta, e assimilati secondo i principi di San Gregorio Magno a quelli di impronta cristiana, per restare nelle aree in cui più diffusa e marcata è la matrice della civiltà modellata dal messaggio e dai valori evangelici. E’, tuttavia, ben certo che nella giostra delle manifestazioni folcloristiche – con gli apparati ludici, musicali e canori d’intrattenimento che sono loro peculiari- si ritrova il “genius loci” che sempre racconta se stesso con segni eloquenti e densi di espressività, ma soprattutto vi si dispiega la corrispondenza tra la cultura dell’immaginario e la cultura materiale, in cui si riconosce l’anima delle comunità e dei popoli nel vissuto del loro cammino nella storia ….
Sono chiavi di lettura, che si possono utilizzare in distinte specificità, con il limite di generare interpretazioni unilaterali, o, meglio ancora com’è preferibile, combinandole nelle reciproche interazioni, per avere degli eventi con cui vive e si anima il Folclore di un territorio una visione interpretativa che sia la più aderente possibile alla realtà. Su queste tracce si colloca la domanda che ruota sul Senso e sul Significante del Culto arboreo dei Mai, così come si pratica nel contesto territoriale della conurbazione urbanistica- formata dai Comuni di Avella, Baiano, Sperone, Mugnano del Cardinale, Quadrelle e Sirignano– che si distende ai piedi del Partenio e dei Monti Avella, per aprirsi ad arco verso la pianura nolana, nel cuore di quella ch’è stata la rigogliosa Campania Felix, ridotta a gigantesco ricettacolo di interrati rifiuti indifferenziati, speciali e nocivi. Una piattaforma-ricettacolo su cui corrono, per quel che ne resta, i 27 canali della rete dei Regi Lagni più simile a sistema di avvelenate fogne a cielo aperto che a sistema artificiale di alta ingegneria idraulica per il normale deflusso sia delle acque piovane e dei ghiacciai del Partenio disciolti,sia del torrentizio e spesso devastante Clanio, così come fu concepito e realizzato nel ‘600 dall’amministrazione borbonica; sistema ben efficiente fino ad almeno mezzo secolo fa, quando l’urbanizzazione “selvaggia” e il ….“partitone del cemento” ed associati per i facili profitti speculativi da realizzare, non avevano ancora preso il sopravvento sui territori “profittando” delle sistematiche violazioni delle disposizioni normative sulla pianificazione urbanistica e sull’ edilizia, magari lasciando in vigore “vecchi” strumenti di pianificazione, con varianti e stratagemmi di varia natura furbesca, grazie alle compiacenze più o meno interessate, se non “comprate”, di amministratori e “uffici tecnici comunali”.
Sulla risposta che si è ritenuto di poter dare alla domanda di Senso e di Significante della road map che compiono i Mai, nel rinnovarsi del ciclo annuale del Culto arboreo praticato nei sei Comuni, con usanze rituali relativamente diversificate, ma con le costanti fisse del taglio degli Alberi–Mai e dei Falò propiziatori di bene e prosperità collettiva, si innesta l’ Istituzione del Premio intitolato alla memoria di Galante Colucci, cultore di storia locale; testimonianza premiale, che prevede l’assegnazione dei simbolici “ Mai d’Argento”, stilizzate opere artistiche – di valenza affettiva più che di valore economico- rappresentative dell’Albero, dominus della Natura vivente e dei Boschi urbani del territorio. Un progetto di impegno civico, promosso e sostenuto dall’Associazione Maio di Santo Stefano e dal Circolo socio–culturale L’Incontro, che con quella del 2018\2019 approda alla terza edizione. Un progetto, che connette il Senso e il Significante della road dei Mai, tra il 30 novembre e il 20 febbraio, ai valori della cultura materiale, in cui si corrispondono il lavoro, le attività produttive e l’economia del territorio, strettamente correlati con il vasto patrimonio boschivo e che per secoli hanno dato le risorse di vita alle comunità locali. E così alle Feste dei Mai si dà la connotazione antropologica che rende onore e omaggio alla cultura del lavoro, dominante sul territorio ed incardinata per lungo corso di anni e secoli nelle risorse dei Boschi, fulcro dell’economia calibrata sull’artigianato di qualità nella filiera della falegnameria e della produzione di ceste e sull’edilizia con la filiera della produzione della calce nelle “carcare” alimentate dal fuoco delle fascine- ‘è sarcinielli– raccolte nei Boschi e la composizione dei telai formati da “solarini” e travi per i solai delle case; “solarini” e travi che erano forniti dalla lavorazione degli alberi abbattuti nei Boschi. E senza tralasciare i siti di stoccaggio dei materiali lignei commerciati dall’ ”industria” boschiva, presenti in tutti i sei Comuni dell’ambito territoriale, segnatamente a Mugnano del Cardinale ed Avella.
Il “Colucci” per il conferimento dei Mai d’Argento, in realtà, vuole testimoniare il profondo legame con cui le comunità si riconoscono nel territorio e nelle risorse dei boschi, su cui i meno abbienti esercitavano gli usi civici; un legame, ch’è uno spaccato di storia da rianimare e far vivere nelle istanze del presente. E così il “Colucci” fa da collante tra la tradizione e la contemporaneità. E se per la prima edizione 2016\2017 il tema è stato calibrato sui Mestieri, con cui per secoli si è articolato il modello d’ Economia di auto–consumo fondato sulla lavorazione, trasformazione e utilizzo dei materiali lignei dei boschi, per la seconda edizione 2017\2018 i “Mai d’Argento” sono stati conferiti in ordine alla tematica del “ Territorio, bene comune”, sollecitando analisi e riflessioni sul primato del valore sociale del Bene–ambiente e del Bene–territorio rispetto al valore d’uso privatistico, spesso speculativo e discriminante verso le comunità.
La bellezza paesaggistica e naturalistica minacciata
Il tema della terza edizione del “Colucci” recita: I Mai testimonial del patrimonio paesaggistico e naturalistico da valorizzare e guide simboliche verso la conoscenza e la riscoperta delle tipicità colturali di ieri e di oggi, promuovendo l’arte culinaria e dolciaria del territorio.
Il profilo delineato indica due ambiti di attenzione, complementari tra loro. Uno è correlato con la cultura ambientale, di cui i Mai – epigoni dei Patriarchi verdi- sono proclamati alfieri e custodi simbolici, avendo come stella polare gli obiettivi dell’ Agenda–30 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per contrastare i cambiamenti climatici in atto, il cui potenziale distruttivo degli equilibri planetari è immane; cultura ambientale e di civica responsabilità, ch’è ancora debole nel contesto nostrano, come attesta- purtroppo- il criminoso, triste ed esteso fenomeno dei tagli abusivi, con cui da anni è manomesso e scempiato il patrimonio boschivo dei Comuni del territorio, per non dire degli incendi che nel tempo hanno devastato intere aree montane di verde vegetazione e colture arboree di pregio, costituite da castagni, faggi, ontani, querce e pioppi, ma anche tipicità colturali, come quelle degli oliveti in collina, per i quali valgono importanti norme di vincolo e tutela, spesso disattese con incendi “mirati” . Sono situazioni, che deteriorano e vanificano del tutto il valore culturale, sociale ed economico del patrimonio montano e boschivo, non più tollerabili, e che rappresentano il presente, senza alcun rapporto con il passato delle generazioni che rispettavano e onoravano l’ambiente e il territorio, in cui era innervata la loro cultura materiale e immateriale di vita.
L’altro ambito invita ad aprire i riflettori della ricerca sulle varietà delle colture un tempo praticate, prima che sopraggiungesse la monocoltura delle nocciole “anarchica” e drogata dalla chimica degli agro-farmaci, degli erbicidi e pesticidi dispensati senza risparmio alcuno, per generare la massima resa produttiva possibile, in tempi lavorativi ridotti all’essenziale e con la minima applicazione delle buone usanze dell’agricoltura normale. E la ricerca non può che proiettarsi sulle locali varietà dell’ orticoltura, della frutticoltura e della viticoltura ormai rese marginali, ma ben affioranti sullo schermo della memoria, per ritrovare il granoturco con le spighe di intenso biondo quasi rossiccio o bianche, segale, fagioli, piselli, fave, cavolfiori, broccoli, pomodori, cipolle, le distinte tipologie di pruni, fichi, peri, meli, albicocchi, ciliegi, peschi, aranci, mandarini coltivati in orti, giardini e poderi, senza dimenticare i caratteristici gelsi e i sorbi con le loro gradevoli sorbole una volta giunte maturazione, fino a vigneti autoctoni di uva fragola e nostrale: una straordinaria e multicolore cornucopia di frutta dai bei e nutrienti sapori, con le loro distinte “carte d’identità” stagionali; una cornucopia che nutriva e alimentava la folta avifauna del territorio, in cui primeggiavano passeri e soprattutto merli e fringuelli con i loro gioiosi voli ad intreccio e versi in primavera e estate. Un’avifauna pressoché estinta quale perversa conseguenza esercitata sui suoli agrari, orti e giardini dall’azione combinata dei veleni di erbicidi e pesticidi , con la dei frutteti che le davano nutrimento.
Era davvero leggiadro e attrattivo il panorama dell’agricoltura che ha connotato il territorio del tempo andato; panorama, a cui corrisponde da alcuni anni a venire in qua il recupero dei suoi valori e tipicità caratterizzanti, in associazione con l’ arte culinaria e l’ arte dolciaria peculiari del territorio, in piena fase di rilancio e di valorizzazione, con significative realizzazioni nella ristorazione, nella pasticceria e nell’accoglienza. Un’importante e qualificata operazione socio-culturale e di economia produttiva, di cui sono protagonisti e artefici diretti chef di alta specializzazione “stellata” e pasticcieri di elevato profilo che utilizzano per le loro raffinate prelibatezze la Nocciola avellana, messaggera e regina del territorio. Sono chef e pasticcieri, ben formati sul versante culturale e con importati back-ground, tutti giovani imprenditori di sé stessi – anche con importanti esperienze maturate all’estero- e in collaborazione con i più stretti familiari. Una realtà che merita di essere conosciuta, insieme con quella dei tradizionali opifici in cui si realizzano gli insaccati di carne bovina e suina, dei frantoi per la produzione degli oli alimentari. Ed occhio alle attività produttive collegate all’agro-alimentare che ha fatto la storia del territorio, all’insegna della solforazione delle ciliegie per l’industria dolciaria nel mondo; attività che da un secolo circa sono ben attive sui mercati nazionali ed esteri.
E’ la cultura del lavoro – così com’è stata vissuta ed esercitata ieri, ma proiettata nell’oggi della digitalizzazione e del web nella società mondializzata- da onorare, la vera matrice de “I Mai d’Argento”. E il “Colucci” ne vuole essere l’espressione.