di Gianni Amodeo
Forma una delle colture arboree più rinomate e diffuse sulla dorsale appenninica, l’asse montano, identificativo della fisicità geografica e del profilo naturalistico di quell’Italia che Giorgio Ruffolo – socialista di forte matrice europeista ed economista di alto profilo, nonché Ministro dell’ambiente dal 1987 al 1992 con i governi presieduti da Giovanni Goria, Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti n.ro VI e VII della serie– chiama Un Paese troppo lungo, nell’omonimo ed acuto saggio di Storia sociale e politica, pubblicato nel 2009; una cartina di tornasole, che fa evidenziare le debolezze sociali e le macroscopiche inadeguatezze nell’amministrazione degli Enti locali e nella governance dei territori rispetto alla generale tenuta dell’assetto istituzionale dello Stato unitario, mentre montavano le istanze della Lega del Nord; debolezze e fragilità che persistono nel gap che continua a divaricarsi tra Nord e Sud, ad oltre trent’anni di distanza, con l’acuirsi dei riflessi del coronavirus, mentre la politica è in affanno con se stessa.
E’ la coltura– riprendendo il filo- dell’ Ontano napoletano, l’Alnus cordata, particolarmente presente nelle aree montane, comprese tra la Calabria e la Campania, ch’è al centro del protocollo di studio scientifico, in cui è impegnato il Consiglio nazionale delle ricerche, nel quadro dei progetti in atto, correlati con gli obiettivi delle missioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza nel contesto del New green deal, funzionale alla New generation eu. Una coltura che gode di favorevoli condizioni di vivibilità nella generale mitezza del climax del Parco del Partenio, sia dal versante dei Monti Avella che da quello ricadente sulla Valle caudina.
Attivamente impegnato nello studio, ch’è di valenza nazionale, è il team di esperti professionisti dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr; team formato dai dottori Luca Leonardi, Muriel Gaudet e Marcello Cherubino che operano con sperimentazioni dirette sul campo; e proprio in questi giorni hanno frequentato e conosciuto i siti boscosi del Parco del Partenio e dei Monti Avella, caratteristici per la presenza dell’ Ontano napoletano, avvalendosi della guida del professore Stefano Lanziello, impareggiabile conoscitore di sentieri e vie montane, oltre che … biblioteca itinerante e parlante di arboricoltura e squarci informativi sul patrimonio avi– faunistico del territorio, un tempo vario e ricco per la molteplicità delle specie, ora ridotto ai minimi termini.
La portata dello studio dei ricercatori del Cnr si è concentrata sulla ricognizione genetica dell’ Ontano napoletano che cresce in quota dai 400 ai 1000 metri. “ E’ una ricerca- spiega il professore Lanziello– che allo stato attuale ha comportato in ciascun sito di campionamento prescelto, il prelievo di foglie di circa 20\25 alberi della specie Alnus cordata. Il Dna estratto dalle foglie sarà utilizzato per valutare la varietà delle abilità genetiche degli Ontani sotto osservazione, per definirne la specifica mappatura, mediante l’impiego di marcatori molecolari SSR”. E’ lo stato di buona salute dell’ Ontano napoletano, quello che va conosciuto, in connessione con le altre specie arboree, tenendo presente che predilige la convivenza con altri alberi di latifoglie, segnatamente la Quercia, il Faggio e il “cugino” rappresentato dall’ Alnus glutinosa, alias l’ Ontano nero.
Un quartetto di specie arboree, che danno forma e vita a boschi di verde cobalto da tutelare e salvaguardare nello spirito della coscienza globale per la vita del Pianeta– terra minacciato sempre più gravemente dalla crisi climatica. E’ la coscienza globale, la cui Carta di responsabilità sociale ed etica, che tutte e tutti interpella, contempla quale principio fondante la conservazione di quello ch’è ancora Natura, con programmi di salvaguardia della bio-diversità e protezione rigenerativa. Proseguire nell’alterazione e nella devastazione della Natura, intesa nel senso più ampio possibile, è follia allo stato integrale.