Un po’ di cinismo su un film che vorrebbe essere romantico, ma che rivela come l’amore trionfi benissimo in assenza di scelta. Si tratta di Passengers, l’ultimo film con Jennifer Lawrence e Chris Pratt. Il regista è norvegese, il suo nome è Morten Tyldum e nel 2014 ha vinto l’Oscar con The Imitation Game (miglior sceneggiatura non originale), che narrava la storia vera del matematico Alan Turing durante la seconda guerra mondiale e la ricerca del modo per decriptare il famoso codice Enigma usato nelle comunicazioni tedesche.
Con solo poche pellicole all’attivo, Morten Tyldum si cimenta adesso con lo sci-fi, creando una singolare unione tra la freddezza dello spazio e i sentimenti umani. Le asettiche ambientazioni dell’astronave Avalon, premio originalità per il nome, in cui è ambientato l’intero film, non sono malissimo e Jennifer Lawrence e Chris Pratt funzionano in modo palese da acchiappa pubblico, fin troppo.
In Passengers i passeggeri sono due, e non essendoci altre possibilità di richiamo, questa carta il regista se l’è giocata abbastanza bene, puntando su due ottimi attori “del futuro”: sono facce da sci-fi per forza, Jennifer Lawrence è Mystica per tre volte negli X-Men e protagonista della saga Hunger Games, anche se alterna questi ruoli con personaggi più di nicchia come quelli dei film di David O.Russell (Il Lato Positivo, American Hustle, Joy). Chris Pratt anche, con il suo faccino pulito, con un po’ di episodi di telefilm all’attivo (Everwood, Parks and Recreation), è diventato un volto molto più noto con film commercialoni come Jurassic World e I Guardiani della Galassia. Un’unione perfetta insomma.
In Passengers Aurora e Jim sono bloccati su di un’astronave in un viaggio lungo 120 anni verso un pianeta nuovo, Homestead II, insieme ad altre migliaia di persone. Aurora e Jim, però, si sono svegliati dopo appena 30 anni dall’ibernazione a causa di un errore del sistema e restano loro altri 90 anni di viaggio senza la possibilità di ibernarsi ancora, in pratica consumeranno la loro intera vita senza mai giungere a destinazione. Si tratta di un buon soggetto, anche se con qualche peccato originale, cioè l’essere in fondo decisamente scarno; risulta così difficile reggere un intero film con quest’unica idea al punto da dividerlo solo in due possibilità: o il capolavoro o il film di cassetta evitabilissimo. Purtroppo Passengers risulta essere la seconda, non riuscendo mai a raggiungere una in qualche modo ricercata profondità e rimanendo sempre incentrato per tutte e due le ore su di una storia d’amore sviluppata a suon di cliché (“Ti fidi di me?”, anelli con brillanti soap opera, etc.), come se ci trovassimo di fronte ad un Titanic siderale, ma senza l’intensità ed il budget di James Cameron.
Il film inizia con una certa serietà e fermezza, ma ci si rende conto presto, ancora prima di metà, della vera natura del film; le scene sono un crescendo di amore, sesso e ridicolo, e nonostante i riferimenti colti e ossequiosi a Kubrick (non solo la freddezza di 2001: Odissea nello spazio ma anche la scena con il barman-androide che ricorda inevitabilmente quella di Shining), Passengers diventa un 50 Sfumature di Spazio che non ha più alcuna possibilità di ripresa nonostante qualche barbosa scena d’avaria della nave che serve solo ad allungare il brodo in modo “action”. Passengers risulta così uno sci-fi per donne, in cui lo spazio diventa fatto di stelle e stelline e in cui sembra impossibile annoiarsi per una vita intera quando c’è l’amore. Volendo chiedersi dunque quale sia lo scopo del film, che appare nascere almeno in principio da un’idea pura, da un sogno poi però sviluppato in modo leggero (e ripeto, peccato), si può di poco dubitare che lo scopo risulti commerciale ed atto a soddisfare coppie sentimentali che vanno al cinema insieme, in cui lui può vedere un film di fantascienza e lei, che non ama la fantascienza, grazie al lato romantico e all’iconica presenza di Jennifer Lawrence (sostenitrice delle donne dichiarata), è disposta ad accompagnarlo. Oppure al contrario, è lui che accompagna lei, sempre sperando che lui non abbia letto la trama del film. Insomma, si accompagnano a vicenda, andando a vedere un film che non piace a nessuno.
Le tematiche di riflessione nella storia ci sono e sono molte, ma sono esposte purtroppo attraverso personaggi senza spessore: Aurora è una giornalista in viaggio verso nuovo pianeta nella speranza di scrivere qualcosa di interessante che possa farla uscire dall’ombra del padre, e Jim, ingegnere meccanico senza troppa mente o troppe pretese, o perlomeno pretese non indagate. Le domande da porsi e alle quali Jim e Aurora ci rispondono, sono almeno due:
1) E’ giusto rinunciare al proprio pianeta in cambio di un futuro nuovo ma incerto, raggiungibile solo dopo 120 anni di ibernazione (equivalente alla “morte” nel proprio mondo di origine)? Risposta: La risposta è ovviamente no, visto che l’astronave va in avaria dopo nemmeno trent’anni, e se non fosse stato per un po’ di fortuna non si sarebbe salvato nessuno. Infatti i due si fanno furbi e non ci tornano in ibernazione, pensando sia meglio passare una vita a fare sesso da soli, cioè in due.
2) E’ possibile vivere in un’astronave tutta la vita in compagnia di una persona sola? Risposta: Beh, sicuramente possibilità di tradimento non ce ne sono. E neanche possibilità di alternative pratiche, vista l’inaffidabilità dell’astronave, quindi l’amore vince benissimo quando è l’unica soluzione possibile.
E questo dovrebbe dirla lunga sul fatto di come il romanticismo in questa storia sia fuori luogo e incapace di emozionare, poiché legato a logiche di sopravvivenza e convenienza, e non legato alla libera scelta.
(Valentina Guerriero)