Pino Daniele è morto a caus a di “un’occlusione di un bypass aortocoronarico”, un problema all’innesto chirurgico che gli ha limitato il flusso del sangue al cuore provocandogli un infarto. Questo il primo esito della consulenza medica disposta dalla procura di Roma sul cuore dell’artista napoletano, morto lo scorso 4 gennaio all’ospedale Sant’Eugenio di Roma al termine di una corsa in auto a folle velocità da Grosseto, dove risiedeva, alla capitale. I risultati gettano un ulteriore velo di mistero sulla morte prematura del cantautore partenopeo: gli accertamenti del collegio peritale sono ancora in atto e si concluderanno entro fine mese, ma gli inquirenti ipotizzano che un soccorso più veloce avrebbe potuto salvare la vita del cantautore. Il sospetto, quindi, è che se fosse stata fatta una diagnosi tempestiva, e si fosse intervenuti in un centro medico più vicino alla sua villa in Maremma, forse si sarebbe scongiurata la morte. Poco prima di partire in direzione Roma insieme alla sua compagna, Amanda Bonini, in casa Daniele erano stati chiamati i soccorsi: i paramedici dell’ambulanza, però, non visitarono mai l’artista perché l’auto con a bordo il cantante partì prima del loro arrivo.
Intanto l’inchiesta per omicidio colposo resta senza indagati. Gli esami tossicologici di routine condotti dai tre consulenti incaricati, i medici legali dell’università La Sapienza di Roma Vittorio Fineschi e Giorgio Bolino e il cardiologo dell’ateneo di Perugia Giuseppe Ambrosio, non hanno riscontrato la presenza di tracce di sostanze stupefacenti nei tessuti dell’uomo. Nei giorni scorsi il pm Marcello Monteleone ha raccolto la testimonianza della moglie dell’artista napoletano, Fabiola Sciabarrasi. Un colloquio di alcune ore nella quale la donna ha espresso tutte le sue perplessità. Proprio lei, all’indomani della morte del cantante, aveva chiesto ad alta voce di sapere come fossero andate le cose: “Mia figlia di 13 anni, che era lì con lui, mi ha detto che il papà era svenuto. Non era il caso di trascinarlo a Roma” aveva detto ai carabinieri. Amanda Bonini, l’ultima compagna, alla guida dell’auto che portò Daniele al Sant’Eugenio, aveva respinto ogni accusa: “Ha avuto un malore. Ma ha insistito, ha respinto l’ambulanza, voleva andare a Roma”.