In tantissimi possono raccontare di aver vissuto quest’esperienza: quell’attimo in cui, improvvisamente, i nostri gesti, le parole del nostro interlocutore, l’ambiente in cui ci troviamo, tutto sembra suggerirci che quell’istante lo abbiamo già vissuto. Quando? Impossibile stabilirlo. Si presenta come un lievissimo capogiro dalla durata brevissima; la sensazione di déjà-vu, però, può prolungarsi anche per una manciata di secondi. Da cosa dipenda questo fenomeno è da sempre un mistero per la scienza: esclusa l’ipotesi Matrix per spiegarlo, quindi, non resta che guardare al nostro organo più prezioso, il cervello, il quale, al pari dell’universo, resta un mondo sconosciuto e ricco di segreti da svelare.
Ci hanno pensato i ricercatori dell’Istituto di bio-immagini e fisiologia molecolare del Cnr, in collaborazione con la clinica neurologica dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, i quali in un articolo pubblicato da Cortex hanno svelato gli scenari neurobiologici alla base di questo affascinante fenomeno psichico, fino ad adesso privo di una spiegazione scientifica. Circa l’80% della popolazione può affermare di aver vissuto un’esperienza del genere ma, fino ad ora, non si era mai riusciti a trovarne le cause perché ci si era concentrati sempre sullo studio del déjà-vu vissuto in condizioni di normalità, senza considerarne invece la condizione patologica. In questo senso, un modello patologico molto noto in letteratura è rappresentato dai pazienti con epilessia poiché, spiegano gli esperti, le illusioni causate dal déjà-vu sono in realtà manifestazioni epilettiche causate da scariche all’interno del cervello. Si è scelto così di operare un confronto tra il cervello di persone che spesso incorrono nel “già visto” molto di frequente, scegliendole sia tra soggetti sani sia tra pazienti neurologici affetti da epilessia.
Per i soggetti sani che spesso esperiscono il déjà-vu, invece, più che altro si tratta variazioni anatomiche di lieve entità, localizzate nella corteccia insulare, area cerebrale che ha il compito di inviare le informazioni sensoriali all’interno del sistema limbico, strettamente correlato a funzioni complesse come le emozioni e l’umore. Questo starebbe a significare, secondo quanto illustrato da Antonio Cerasa dell’Ibfm-Cnr, che in realtà quella sensazione di vedere e sentire qualcosa di già visto sarebbe semplicemente da ricondursi ad un fenomeno di sensorialità alterata dello stimolo percepito. Insomma non un ricordo alterato, ma in realtà una sensazione che abbiamo già provato e archiviato nel cervello e che viene attivata nuovamente, richiamando uno stimolo mnestico associato in precedenza. Ossia riviviamo la sensazione del momento, non l’esatta situazione: questa eventualità sarebbe del tutto improbabile.