Un fase post operatoria che sembrava fosse stata superata discretamente, poi una serie di controlli medici hanno convito i familiari e i suoi legali a chiedere il rinvio della pena con la detenzione domiciliare. I giudici del tribunale di sorveglianza di Sassari accolsero l’istanza di differimento della pena – avrebbe dovuto restare in cella fino al 2030 – per ragioni di salute. A presentare la richiesta lo storico difensore del capoclan, l’avvocato Raffaele Bizzarro.
Biagio Cava era ritenuto da anni un riferimento dei Fabbrocino (e prima degli Alfieri), capace di elevarsi al di sopra della faida quindicese – più di cinquanta morti – e costruirsi una posizione di primo piano nella camorra campana.
Era in cella anche quel giorno maledetto. Quello della strage delle donne, quando un commando dei Graziano uccise la figlia prediletta, Clarissa, di 16 anni, e ferì gravemente l’altra figlia, Felicetta. Nell’agguato morirono anche una sorella del boss e una nipote.
Una vita intera passata tra piombo, vendette e camorra. Passata tra celle e rifugi, usati per evitare le manette, ma anche per eludere i suoi nemici storici, quei Graziano che per anni lo hanno considerato il pericolo pubblico numero uno, il responsabile – tra gli altri – dell’omicidio del futuro boss della famiglia, Eugenio. Massacrato in un garage di Scisciano insieme ad altre due persone. Per gli investigatori è stata quella la miccia che ha reso la faida ancora più devastante.