REFERENDUM DEL 12 GIUGNO 2022. PER COSA SI VOTA?

REFERENDUM DEL 12 GIUGNO 2022. PER COSA SI VOTA?

di Sebastiano Gaglione

Domenica 12 giugno 2022, dalle ore 7:00 alle ore 23:00, gli italiani saranno chiamati a votare alle urne per votare per il primo turno delle elezioni amministrative per 950 comuni italiani e su cinque referendum promossi da Lega e Radicali, in tema di giustizia.

“Il referendum è un istituto giuridico con cui si chiede all’elettorato di esprimersi con un voto diretto su una specifica proposta o domanda”.

Dunque, i cinque referendum propongono:

 – I QUESITO: riguarda l’abrogazione del Decreto Severino del 2013, che prevede che chiunque venga condannato anche in via non definitiva per reati gravi (come mafia, terrorismo e corruzione) non possa essere candidato alle elezioni per il Parlamento Italiano ed Europeo, alle elezioni regionali e comunali e che non possa assumere cariche di governo.

Inoltre, la condanna per uno di questi reati determina la decadenza automatica del mandato (tranne in alcuni casi specifici).

Se al referendum vincerà il sì, anche i condannati in via non definitiva avranno la possibilità di candidarsi o continuare il proprio mandato, a meno che il giudice non decida diversamente in base al singolo caso.

I promotori del referendum sostengono che la sospensione automatica, in caso di condanna non definitiva, sia contraria al principio di presunzione di innocenza e che possa creare vuoti di potere e, di conseguenza, gravi inefficienze nelle amministrazioni coinvolte .

Chi si oppone allabrogazione sostiene, invece, che il decreto Severino rappresenti un baluardo nel contrasto alla corruzione degli ultimi anni e che eliminarlo gioverebbe più ai corrotti che agli innocenti.

– II QUESITO: riguarda l’abrogazione di una parte dell’articolo 274 del Codice di procedura penale, riguardante le misure di custodia cautelare.

La custodia cautelare è una limitazione della libertà preventiva a cui un imputato può essere sottoposto prima della sentenza.

La custodia cautelare, attualmente può essere disposta solo per reati per i quali sono presenti gravi indizi di colpevolezza e dinnanzi a tre ipotesi:

– quando ci sono concreti rischi di fuga;

quando c’è il rischio di inquinamento delle prove;

quando c’è il rischio di reiterazione del reato (ossia che la persona indagata possa ripetere il delitto di cui è accusata).

Se al referendum vincerà il sì, verrà eliminata la motivazione della possibile reiterazione del reato dai motivi per cui i giudici possono disporre la custodia cautelare in carcere o ai domiciliari durante le indagini e quindi prima del processo.

Chi vuole abrogare la norma sostiene che la custodia cautelare da strumento di emergenza, si sia trasformata negli anni in una pratica abusata e che venga imposta in modo automatico anche nei casi in cui l’imputato non sia effettivamente pericoloso.

Chi è contrario allabrogazione fa notare che la legge stabilisce già dei limiti alla custodia cautelare in caso di pericolo di reiterazione del reato, che può essere disposta solo per delitti che prevedono una reclusione di minimo quattro anni o di almeno cinque anni per la custodia cautelare in carcere.

Inoltre, l’abrogazione non influirebbe solo su domiciliari o carcerazione preventiva, ma anche su tutte le altre forme di misure cautelari (ad esempio l’allontanamento dalla casa familiare nei casi di violenza domestica), creando potenziali rischi per le vittime.

– III QUESITO: riguarda la separazione delle carriere dei magistrati e punta ad abrogare le norme che attualmente permettono ad un magistrato, nel corso della sua carriera, di passare dalla funzione di giudice a quella di pubblico ministero e viceversa.

Mentre i pubblici ministeri dirigono le attività investigative dopo aver ricevuto una notizia di reato e rappresentano la pubblica accusa nei processi, i giudici sono chiamati a prendere delle decisioni dopo aver approfondito le ragioni delle parti in causa.

Secondo la legge in vigore, nel corso della propria carriera un magistrato può cambiare il proprio percorso professionale “giudice-pm” fino a quattro volte.

Se al referendum vincerà il si, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della propria carriera se vorrà esser pubblico ministero o giudice e non potrà cambiare mai più il proprio percorso professionale.

Secondo i sostenitori dell’abrogazione, la possibilità di poter cambiare ruolo tra giudici e pm è un problema perchè potrebbe creare una sorta di testa della magistratura in cui giudici e pm si aiutano a vicenda, compromettendo l’idea di un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, considerato il vero fondamento dell’efficienza e dell’equilibrio di un sistema democratico.

Per i sostenitori del no, separare le due funzioni isolerebbe automaticamente la figura del pubblico ministero, andando a creare una cultura dell’indagine e dell’accusa autonoma ed isolata da ogni regola deontologica.

Secondo questa logica, infatti, il magistrato può beneficiare molto dall’esperienza dei due ruoli venendo in contatto con entrambi punti di vista e quindi diventando un pm o un giudice migliore.

– IV QUESITO: mira ad abrogare le norme sulle competenze dei membri laici nei consigli giudiziari. I consigli giudiziari sono organi ausiliari composti da magistrati e da membri laici (come professori universitari e avvocati), che esprimono i cosiddetti “motivati pareri” su diversi ambiti, tra cui le valutazioni di professionalità dei magistrati.

I membri laici partecipano all’elaborazione di pareri su diverse questioni tecniche e organizzative, ma sono esclusi nei giudizi sull’operato dei magistrati, i quali, attualmente, possono essere giudicati solo ed esclusivamente da altri magistrati.

La valutazione definitiva della competenza dei magistrati viene poi fatta dal Consiglio superiore della magistratura che, tuttavia, decide anche sulla base delle valutazioni dei consigli giudiziari.

Se al referendum vincerà il sì, anche i membri laici (avvocati e professori) potranno partecipare attivamente alla valutazione dell’operato dei magistrati.

Secondo i sostenitori del sì, di conseguenza, questo potrebbe rendere più oggettivi e meno autoreferenziali i giudizi sull’operato dei magistrati.

I sostenitori del no, invece, sostengono che affidando un ruolo attivo agli avvocati nella valutazione dei magistrati, si correrebbe il rischio di compromettere la neutralità del giudice nel caso in cui, ad esempio, il giudice in questione durante   un processo si trovasse di fronte all’avvocato che poi potrà esprimere un parere molto importante sul suo lavoro e che avrà, dunque,  conseguenze sulla sua carriera.

– V QUESITO: propone il cambiamento di alcune regole per lelezione dei cosiddetti membri togati del consiglio superiore della magistratura (o “CSM”).

Il CSM è l’organo che assicura l’autonomia del potere giudiziario in Italia.

Adesso spettano diversi compiti tra cui l’assegnazione di trasferimenti e le promozioni dei magistrati e quello di decidere sui provvedimenti disciplinari nei confronti dei membri della magistratura.

Il CSM è composto da membri che lo sono di diritto, come il Presidente della Repubblica che lo presiede e dai membri eletti (per due terzi da membri togati, ossia da magistrati che vengono eletti dagli stessi magistrati e per un terzo membri laici come avvocati e professori universitari, che vengono invece eletti dal Parlamento).

Attualmente per candidarsi al CSM, un membro togato deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme. Questo quesito, dunque, propone proprio labrogazione di questa regola.

Se al referendum vincerà il sì, tutti i magistrati in servizio potranno proporsi come membri del CSM presentando semplicemente la propria candidatura, senza bisogno del supporto di altri magistrati e soprattutto senza l’appoggio delle correnti politiche interne alla magistratura e al CSM.

Secondo i sostenitori dellabrogazione, questa modalità favorirebbe le qualità professionali del candidato, invece del suo orientamento politico.

um è necessaria la maggioranza dei voti validi espressi.